Pino Giglio, il superpentito che portava alle imprese venete i soldi da riciclare

È difeso dall’avvocato Li Gotti,  già legale di Buscetta: «Ha dato le coordinate per capire il sitema: era il bancomat delle famiglie, poi è cambiato»

VENEZIA. È il pentito che non si è pentito: di aver dato un taglio netto con il passato. Di aver cambiato vita. Di aver imposto nuove regole a moglie e figli residenti chissà dove e forse, per sempre, con domicilio “presso il Servizio centrale operativo di Roma», si legge nel capo d’imputazione. È Giuseppe Pino Giglio, ex imprenditore crotonese trapiantato in terra emiliana dove aveva messo in piedi un’azienda di autotrasporti con una sessantina di mezzi. È presente all’udienza preliminare nell’aula bunker di Mestre in videoconferenza. In Emilia ha scoperchiato il pentolone delle infiltrazioni ’ndranghetiste, poi ha raccontato quello che la cosca Grande Aracri combinava pure in Veneto. Ora ha chiesto di patteggiare un anno e 4 mesi (in continuazione con precedenti condanne). L’avvocato Luigi Li Gotti è il difensore che lo ha accompagnato in questo percorso: calabrese di nascita, romano d’adozione, ha rappresentato i familiari della scorta di Aldo Moro nel processo per la strage di via Fani, ha difeso diversi collaboratori di giustizia (Tommaso Buscetta) e dal 2006 al 2008 (governo Prodi), è stato sottosegretario alla Giustizia. «Giglio ha dato le coordinate per capire il sistema», spiega il legale. «Era lui a consegnare il contante alle società interessate alle false fatture; lo stesso giorno queste ultime facevano un bonifico alla ditta di Giglio pari al capitale e all’Iva del 22%. Ecco che le società beneficiarie abbattevano gli utili». Un meccanismo per creare fondi neri ed evadere le tasse. All’inizio «Giglio era un imprenditore vessato: era il “bancomat” delle “famiglie” andavano a chiedergli soldi”, poi è diventato complice». Fino al 2016 quando ha cominciato a parlare «e la famiglia ha seguito la sua scelta». —

CRI.GEN.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova