RICOSTRUIRE L’IRI con regole precise non servono altri carrozzoni

Le dichiarazioni del Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli (5 Stelle) alla Commissione Industria del Senato di rifare l’Iri per salvare Alitalia ed Ilva “se serve” e poi precisate come una possibilità da realizzare se le crisi industriali si estenderanno, sono state oggetto di molte interpretazioni.

Alcuni le hanno considerate espressioni di una decisione già presa da parte del ministro, ma da discutere in sede governativa. Altri come una tesi di un ministro che non si preoccupa delle regole europee in tema di aiuti di Stato. Vale, quindi, la pena di cercare di comprendere quale fu il ruolo effettivamente svolto dall’Iri e le possibilità di dare vita a qualcosa di analogo. L’Istituto per la Ricostruzione Industriale venne creato nel 1933 per salvare le banche che possedevano azioni di imprese di vari settori che erano state travolte dalla crisi mondiale del 1929. Era diretto da un personaggio, Alberto Beneduce, di notevoli capacità che riuscì a rimettere a posto molte delle aziende controllate.

Nel dopo guerra l’Iri ebbe un ruolo fondamentale nella ricostruzione e nel miracolo economico. Sia sufficiente rammentare la costruzione dell’impianto siderurgico di Taranto e quella delle autostrade senza dei quali saremmo rimasti molto più lenti, se non fermi, nella crescita. Sulla prima di queste iniziative vale la pena di sottolineare che fu opera di un economista pratico, Pasquale Saraceno, l’autore del Piano Vanoni, che di fatto impose l’iniziativa, perché convinto dai dati sulle previsioni, contro il parere dei dirigenti della Finsider. Questa ed altre iniziative ebbero luogo perché sino a tutti gli anni ’60 l’Iri non fu terra di conquista dei partiti. Basti ricordare che, in tale periodo, quando venne nominato un nuovo presidente, Aldo Fascetti, già parlamentare ed esperto di imprese, e lo stesso volle conoscere i democratici cristiani presenti tra il personale dell’Iri, scoprì che erano appena tre su un centinaio. Fascetti non modificò la situazione, come altri suoi successori. Fu così che, poco a poco, l’Iri divenne operatore di salvataggi, anche se non nella misura di altre imprese pubbliche come l’Egam, e fece spesso, ma non sempre, dell’occupazione l’obiettivo prioritario delle sue controllate, sino a quando venne sciolto nel 2003.

Occorre ora ricrearlo magari con diverso nome? La risposta è positiva se si considera che c’è bisogno di sviluppare nuove tecnologie che richiedono notevoli risorse dedicate alla ricerca. Occorrono, per altro, alcune regole precise per evitare di dare vita a imprese che non riescono da sole a sopravvivere sul mercato globale e a non infrangere le regole europee sugli aiuti di Stato o di andare verso quei regimi socialisti vecchio stile che hanno già mostrato l’incapacità di sviluppo. Si potrebbe stabilire che, quando viene presentato il piano per una nuova iniziativa, si dica che la stessa deve poter essere privatizzata entro un preciso numero di anni e, se non si riesce, va posta in liquidazione. Sono regole dure, ma la storia ha mostrato che i mercati sono meglio dell’autoritarismo. Sono le capacità e le idee delle persone quelle che veramente migliorano il mondo. Sono forti i dubbi che il ministro Patuanelli ed i suoi sostenitori riescano a comprendere che costruire un inutile carrozzone non serve a nulla. —

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI



Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova