«Roberto metteva in castigo anche il cane»

TREVISO. «In casa dovevamo stare sempre attenti a come ci si muoveva e se lui si fissava su qualcosa dovevamo cercare di distogliere immediatamente l’attenzione». Paula De Wall, insegnante...

TREVISO. «In casa dovevamo stare sempre attenti a come ci si muoveva e se lui si fissava su qualcosa dovevamo cercare di distogliere immediatamente l’attenzione». Paula De Wall, insegnante universitaria di 49 anni, ha raccontato agli investigatori la difficoltà quotidiana di vivere con una persona afflitta da disagio psichico. Una vita che diventa un «mestiere», una casa che si trasforma da sereno rifugio a campo minato. «Mio marito prendeva psicofarmaci, ma rifiutava interventi specialistici. E io non potevo fare nulla», ha detto la donna agli inquirenti. Poteva - e questo ha fatto fino all’ultimo - evitare il peggio: mediare quando il marito riprendeva il figlio (ed avveniva spesso), smussare i malumori, evitare le fissazioni di un uomo che era stato un bravo manager e che da 10 anni era senza lavoro. Un uomo che aveva girato il mondo, tra la Svizzera e il Brasile, e che da tempo non usciva più di casa. Un uomo malato, insomma, che però non voleva essere curato. E che sfogava il disagio sui suoi familiari, in particolare sul figlio. Al punto da indurre il ragazzo, nel profilo facebook, a usare il cognome della madre cancellando quello del padre, una figura difficile, lontana, incomprensibile. Una cancellazione prima virtuale, poi anche reale. Ma prima di arrivare a questa tragedia, erano Bruno e Paula a temere le reazioni di Roberto.La donna, infatti, temeva aggressioni. Tanto più che il marito coltivava la passione per i coltelli, li collezionava. «E io glieli nascondevo», ha spiegato Paula porgendo ai carabinieri due sacchetti pieni di lame. «Prendeteli, li avevo messi in garage».

L’aggressività di Roberto si manifestava anche nei confronti dell’altro componente della casa, la cagnolina Tuixi. «È l’unico essere degno di rispetto», ha scritto di lei Bruno, nel suo profilo facebook. Ma il beagle infastidiva il padre, tanto da metterla in castigo: la costringeva a stare per ore ferma in un angolo del salotto.

Un atteggiamento che non contribuiva a rasserenare i rapporti tra padre e figlio. Una relazione difficile secondo la ricostruzione di Paula, «inesistente» secondo quelle di Bruno. Ben diverso il rapporto tra madre e figlio che sono rimasti vicini anche dopo l’omicidio. «Quando c’era mamma mediava nelle discussioni», ha detto il ragazzo agli investigatori. Era lei che riusciva a placare il marito, che riusciva a tranquillizzare il figlio. Era lei, che orgogliosa, citava il ragazzo nel suo profilo facebook, per raccontare i suoi 900 contatti o per pubblicizzare un concerto della band di cui Bruno faceva parte. È a lei che il giovane ha chiesto aiuto dopo il delitto, lei che è andata a prendere in stazione ed è a lei che ha confessato l’accaduto. È lei che lo ha accompagnato in caserma, che lo ha aspettato durante tutto l’interrogatorio, che l’ha salutato mentre andava in ospedale, in stato di arresto. Ed è lei che, agli investigatori, ha fornito un quadro familiare devastato dalla malattia di Roberto; è lei che ha insistito sulle continue vessazioni psicologiche a cui il marito sottoponeva il figlio.

Era Paula il perno della famiglia Magri. Da settembre, poi, aveva visto ridursi il suo contratto di docente esterna all’Università di Padova e questo non aiutava certo un bilancio familiare che non contava su altri introiti.

Eppure non era sempre stato così difficile. La famiglia Magri-De Waal, in Brasile, conduceva una vita agiata. Lui era figlio di Giuliano, emigrato italiano partito dal mantovano negli anni Cinquanta e diventato un imprenditore del settore tessile a San Paolo. Lei, cittadina olandese, figlia di un professore universitario di management e organizzazione aziendale, si era trasferita in Brasile per passione. Qui aveva conosciuto Roberto, titolare di un importante studio fotografico brasiliano, e qui si era sposata nel 1985. Nel ’91 era nato Bruno e nel ’94 la coppia si era trasferita in Italia, pare per motivi di sicurezza visto che il Brasile era diventato sempre più violento.

A San Vendemiano Roberto aveva fondato la Power House che curava la realizzazione di portali internet per diverse aziende. Successivamente la decsione di chiudere l’azienda per dedicarsi a un’attività di import-export con il Brasile. Poi l’incubo della disoccupazione.

Intanto, il giovane, che si è ripreso dallo choc chiede: «Adesso che succederà?» Una domanda semplice quella rivolta da Bruno Magri al suo avvocato Umberto Pauro. Più difficile la risposta. Intanto il giovane sarà sottoposto a interrogatorio dal magistrato. Poi il gip deciderà sull’arresto.

Sabrina Tomè

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