Rossano Galtarossa, nell’olimpo dello sport padovano

Intervista con Galtarossa che per la quinta volta andrà ai Giochi: mai nessuno così in alto
Gaetano Galtarossa con Alessio Sartori ad Atene
Gaetano Galtarossa con Alessio Sartori ad Atene
PADOVA. Nessun padovano ha vinto quanto lui, nessuno è riuscito a centrare il traguardo di partecipare a cinque olimpiadi, nessuno ha resistito ai vertici mondiali per quasi vent’anni, per lo più in uno sport come il canottaggio. Rossano Galtarossa, classe 1972, è entrato nella leggenda del remo azzurro, ma soprattutto dello sport padovano. Al secondo carrello del quattro di coppia che lo vide alzare le braccia al cielo ai giochi di Sydney, venerdì scorso a Monaco ha staccato il biglietto per la quinta olimpiade. Vogando una semifinale da cineteca si è qualificato per la sua sedicesima finale mondiale.


Da Barcellona 1992 a Pechino 2008 attraverso decine di migliaia di chilometri lungo lo Scaricatore dal ponte del Bassanello alle chiuse di Voltabarozzo, Rossano ha costruito una carriera luccicante come l’oro e consistente come il cemento armato. Vittoria dopo vittoria è diventato l’atleta padovano più titolato di tutti i tempi. Ma i cinque titoli mondiali, le tre medaglie olimpiche non hanno scalfito l’umiltà dell’esordiente e la semplicità di chi i riflettori non è abituato ad averli addosso. Chiunque più avvezzo allo sport business avrebbe dedicato la quinta qualificazione olimpica a sponsor o allenatori. Rossano no, il suo pensiero è andato alla ragazzina ferita nell’incidente in mare a Rovigno. «L’ho dedicata a Maria Elena, figlia di soci della Canottieri che conosco molto bene e che mi stanno aiutando nel progetto Pechino 2008. Ero in ritiro quando è successo il dramma, l’ho letto su Internet, mi hanno detto che non è ancora fuori pericolo, spero che si riprenda al più presto. La mia quinta olimpiade è per lei».


Cinque edizioni dei giochi, 18 anni di maglie azzurre, 10 medaglie mondiali. Commendator Galtarossa, qual è il segreto del suo successo?

Caparbietà, testardaggine, voglia di soffrire, autostima e capacità di saper scegliere la giusta rotta da prendere senza mai mollarla. Molti giovani compagni di squadra mi chiedono come faccio a trovare le massime motivazioni dopo così tanti anni in barca, dopo aver vinto tutto. Semplice, rispondo, basta dimenticarsi di quello che si è fatto e vedere il prossimo obiettivo come il primo da raggiungere.


Nel 1992 a Barcellona aveva 20 anni, oggi voga con giovani che all’epoca andavano all’asilo. Differenze fra la sua e questa generazione?

Senza voler generalizzare, i ventenni di oggi sono più fragili. All’apparenza sono più sfrontati, meno timidi, un po’ presuntuosetti, ma basta un nulla per mandarli in crisi. Forse, rispetto alla mia generazione hanno dovuto faticare meno per ottenere risultati. Sono più coccolati, supportati dalle famiglie, viziati e protetti. E sì, forse, anche troppo giustificati.


In che senso?

I filmati che ho visto su Yuotube sono un esempio emblematico: ragazzi che toccano il sedere alle professoresse, che prendono a schiaffi gli insegnanti che corrono in auto a 200 all’ora in città vengono continuamente assolti dai genitori. Se un educatore utilizza metodi un po’ più duri rischia la denuncia da parte della famiglia: anche quando andavo a scuola io c’erano docenti severi, che magari utilizzavano sistemi poco ortodossi. Furono allontanati ma in famiglia questo non portava a giustificare, gli schiaffoni volavano lo stesso.


Ragazzi più fragili perché più protetti in famiglia?
In molti casi è una questione di valori, almeno questo è quanto vedo nell’ambiente del canottaggio: ricordo come fosse ieri la mia prima convocazione in maglia azzurra, oppure la prima volta che sono salito sul quattro di coppia, la barca regina della nazionale azzurra. Mi sentivo fiero e orgoglioso, quasi un eletto, io ero dentro la barca campione olimpica. Ora per chi arriva in nazionale pare che sia tutto normale, quasi un atto dovuto e non una grande conquista.


Meno attaccamento alla maglia azzurra?
Lo scudetto tricolore era una conquista, sui campi di gara vogavi per far vincere l’Italia oltre che per il successo personale. E con questi presupposti è più facile trovare motivazioni, diventa meno pesante alzarsi tutte le mattine alle 6 per uscire in barca, allenarsi anche tredici volte a settimana, togliendo spazio a famiglia, amici, mogli o fidanzate.


Lo andrebbe a raccontare al naviglio degli spritz al Piovego, dove droga e alcol scorrono a fiumi?
Certo, anche se forse non mi capirebbero. Forse parliamo due lingue diverse. Francamente non trovo il senso dell’equivalenza sballo-divertimento. Mi riesce difficile comprendere chi trova nello sballo l’unica via al divertimento. Sia chiaro, non siamo dei bacchettoni noi atleti, le nostre sonore sbronze ce le siamo prese, e dopo una vittoria festeggiamo alla grande, ma ad esempio la droga non la concepisco, la ritengo una scorciatoia per gente che non ha gli... attributi.


Il naviglio degli spritz, via Anelli, il tram. Ma lei si farebbe «allenare» da Flavio Zanonato?

L’ho visto una mattina al Bassanello in barca. Vogava alla veneta in camicia e cravatta. La stoffa c’era, l’abbigliamento un po’ meno. Scherzi a partem credo che la sua gara sia molto difficile, passa dal disastro di via Anelli ai problemi del tram che non vuol saperne di andare e che fa inferocire i cittadini, me compreso. Il fatto è che molte delle questioni le ha ereditate e risolverle non è semplice.


Lei che ha dimostrato di essere un vincente, se la sente di dargli un consiglio?
Consigli no, ma mi auguro che non sottovaluti la tranquillità della gente. Vivere sereni nella propria città è fondamentale e la sicurezza è al primo posto fra le preoccupazioni. Far crescere i figli in una città sicura è in cima ai pensieri di tutte le famiglie.


A proposito, non è che anche per la famiglia Galtarossa è giunta l’ora di ingrandirsi?

Con Elisa ci stiamo lavorando, speriamo arrivi presto, un figlio sarebbe il miglior modo per festeggiare la quinta olimpiade.


Se potesse tornare indietro, cosa cambierebbe di ciò che ha fatto?

Con il senno di poi qualche errore lo correggerei, ma a pensarci bene sono serviti anche gli sbagli, per arrivare dove sono arrivato. Alla fine rifarei tutto. So di aver trascurato affetti e amicizie, ma alla fine chi mi vuole veramente bene mi è rimasto a fianco. Ecco, l’unico rimpianto è non aver vogato un mondiale in singolo, sarebbe stata una grande sfida, ma ormai è troppo tardi.


Dopo Pechino sarà tempo di appendere i remi al chiodo. Che futuro immagina per il Galtarossa ex-atleta?

Sono direttore dell’impianto della Canottieri Padova, in questi mesi il presidente Battaglia ha creato una squadra di otto aziende che mi supportano per arrivare alla quinta olimpiade. Lavorerò perché questa sinergia non finisca con Pechino, ma che possa aiutare la mia società a sfornare nuovi campioni.


Con lei ai Mondiali di Monaco ci sono altri tre padovani: Valerio Pinton, Giovanni Lunardi e Carlotta Baratto. Saranno i nuovi Galtarossa?

Valerio è ormai un veterano, Giovanni e Carlotta hanno fatto passi da gigante e se non molleranno potranno diventare i campioni del futuro. Molto dipende da loro.

Alla politica ci pensa? Più d’uno ha avuto successo.
Sono troppo concreto, è un mio limite, quando ero giovane sono rimasto lontano dalla politica, non mi ha coinvolto. Ora ho le idee più chiare ma da sportivo mal digerisco le energie sprecate in polemiche sterili. Però se qualcuno mi contatterà, magari ci penserò, a patto che voglia fare i conti con la mia concretezza.

Non è un dettaglio da poco, ma da che parte?
È tutto da vedere...

Scusi, Galtarossa, ma lei oggi non scende in gara per il titolo mondiale?
Già e si parte per vincere, come sempre. La barca è un giusto mix di esperienza e entusiasmo. Polonia, Germania e Francia sono i nostri avversari più pericolosi, ma tutto può succedere in una finale mondiale. È l’ennesima sfida ma non certo l’ultima.

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