Ruggine e infiltrazioni, ecco il Mose sott’acqua. E gli esperti si dimettono

Situazione critica all’interno dei cassoni di Malamocco. Mancata manutenzione e criticità irrisolte per la grande opera che dovrebbe essere finita in dicembre. Intanto arriva la durissima lettera d’accusa inviata al Provveditore da Susanna Ramundo, esperta di corrosione dei materiali: «La manutenzione non viene fatta e la corrosione avanza». E un particolare inedito: «Nel novembre del 2019 abbiamo rischiato»
 
La più grande opera di difesa civile mai realizzata, per un bacino di circa 55 mila ettari e che costerà 6 miliardi di euro, esclusa la manutenzione. Ma che a pochi mesi dall'inaugurazione, presenta già problemi, problemi grossi, che finora sono stati nascosti.
 
 
 
Muffa, infiltrazioni d’acqua, ruggine. Degrado ovunque, con segni preoccupanti di cedimento dei materiali. Più che una grande opera pronta per il collaudo e l’inaugurazione, prevista il 31 dicembre prossimo, sembra un grande incompiuta abbandonata a se stessa.
 
È la situazione drammatica in cui si trova il Mose sott’acqua. Lontano dai riflettori e dai trionfalismi dei test andati bene, le gallerie della bocca di porto di Malamocco, 14 metri sotto il livello dell’acqua, mostrano una situazione critica. Macchie sui muri, segni delle infiltrazioni dell’acqua del mare. Bulloni che tengono le strutture completamente arrugginiti e deteriorati. Ma anche le porte che collegano i vari settori che non si chiudono, chiudiporta bloccati dalla ruggine.
 
 
Com’è possibile che in vista del traguardo annunciato per la grande opera costata 6 miliardi di euro la situazione sia questa? Un’opera che vive sott’acqua non può essere lasciata a se stessa. E’ successo a Treporti, dove nel 2013 vennero installate 21 delle 78 paratoie del Mose. Inaugurazione in grande stile, ministri e presidente della Regione, sindaco e autorità. Poi lo scandalo che nel 2014 aveva portato in carcere 35 persone con l’accusa di corruzione. Cento indagati e una bufera che permesso di scoprire le «criticità» dell’opera fino a quel momento nascoste.
 
Paratoie sott’acqua e ferme per anni. Sabbia che si infiltra, vernice che se ne va. Oltre alla corrosione delle cerniere scoperta dai periti del Magistrato alle Acque, oggi Provveditorato.
 
Poi sono arrivati gli amministratori straordinari. La direzione dei lavori e la parte tecnica è stata affidata a Francesco Ossola, ingegnere torinese progettista dello Juventus stadium. E la musica non è cambiata. Sono state installate anche le altre paratoie. A Malamocco, a Chioggia, al Lido. Ma la manutenzione no.
 
Nel 2015 la mareggiata aveva anche allagato i corridoi subacquei dove corrono gli impianti e i sistemi elettrici delle paratoie. La conca di Malamocco, costata 330 milioni di euro, danneggiata e inservibile, perché troppo piccola. La lunata di Lido crollata il giorno dopo il collaudo e la fine dei lavori.
 
I costi della manutenzione sono stati sempre sottostimati. Adesso sono decuplicati rispetto alle previsioni del progetto. Almeno cento milioni l’anno. Che però non sonio ancora stati spesi. Le imprese attendono di lavorare, due gare per la manutenzione (per la sabbia nelle paratoie e per le cerniere, valore complessivo 50 milioni di euro, sono bloccate per motivi diversi.
 
 
L’arrivo del commissario “Sblocca cantieri” un anno fa, l’ex direttrice del demanio Elisabetta Spitz, non ha sbloccato granché. Sono stati avviati i test di sollevamento, peraltro già messi nel cronoprogramma. Ma la situazione della manutenzione non è stata affrontata. Nonostante Spitz abbia assunto come consulente proprio il responsabile tecnico degli ultimi cinque anni, l’ingegnere Ossola.
 
Che fare allora?
Il sistema Mose è adesso a uno snodo decisivo. Da una parte si plaude al fatto che la struttura abbia funzionato. Sollevata da ottobre a oggi per 20 volte in condizioni di acqua alta. Città rimasta all’asciutto. Ma i nodi fondamentali non sono stati ancora risolti. Le “criticità” – i tubi rotti, le valvole, le cerniere, la corrosione – e la manutenzione.
 
Adesso le immagini che pubblichiamo parlano da sole. Denunciano un problema forse sottovalutato, non soltanto in fase di progetto. Come si fa a mantenere una struttura del genere che vive sott’acqua?
I primi cedimenti e le prime infiltrazioni erano state segnalate già quattro anni fa durante la gestione commissariale del Consorzio.
 
L’accelerazione è arrivata sul fronte dei test, ma non della soluzione dei problemi.
Test che secondo la centrale operativa del Mose, il Consorzio e il commissario Spitz, dovrebbero servire per mettere a punto la macchina. Paratoie sollevate anche in bocche diverse, oppure solo una parte della stessa barriera. Esperimenti che come ammonisce l’ingegnere idraulico Luigi D’Alpaos non si possono fare senza studi, perché pericolosi per la laguna. Il nodo aperto adesso è quello della manutenzione. 
 
 
 
«La manutenzione non si fa e la corrosione avanza. Da un anno qui è tutto fermo. Per questo mi dimetto. Anche per non essere corresponsabile dello scempio in atto».
 
Il perito nominato dal ministero sulla corrosione delle cerniere del Mose si dimette. In polemica con «l’incompetenza e l’immobilismo» e con la mancanza di interventi per fermare il degrado del sistema. Una decisione che pesa, motivata con una lettera durissima inviata lunga al Provveditore alle Opere pubbliche Cinzia Zincone. Un masso nello stagno della salvaguardia. Perché il tecnico che si dimette non è un funzionario qualunque.
 
Si tratta di Susanna Ramundo, esperta di corrosione dei materiali e già membro del Rina e di molte commissioni tecniche del ministero delle Infrastrutture. Quatto anni fa venne chiamata dall’allora provveditore Roberto Linetti per fornire soluzioni alla corrosione avanzata delle cerniere del Mose. Una relazione choc aveva allora scosso i palazzi del potere.
 
«Materiali non conformi, durata ridotta, pericolo di crisi della struttura». Era il febbraio del 2017, e allora Ramundo insieme a ad altri esperti aveva proposto soluzioni. La gravità della denuncia fatta dall’esperto metallurgico del Provveditorato Gian Mario Paolucci era stata confermata dai consulenti Donatella Mascia e Carlo Brutti. E dalla stessa Ramundo.
 
Per quello si era anche bandita una gara internazionale da 34 milioni per sostituire le parti ammalorate del sistema. La lista è lunga, e riguarda soprattutto l’elemento femmina delle cerniere. Quello cementato sui cassoni in calcestruzzo sul fondo che sostiene la paratoia. Corrosi i tensionatori e le tubazioni, che vanno sostituite. Ma nonostante i rapporti e le segnalazioni dei tecnici non è successo nulla.
 
 
«Mi dimetto per l’inutilità della mia funzione», scrive polemica la Ramundo, «con i provveditori abbiamo analizzato documenti, messo in evidenza criticità e indicato soluzioni. Da un anno tutto è fermo, in attesa delle decisioni del nuovo commissario».
«La corrosione però avanza», scrive l’esperta, «incurante dell’immobilismo di coloro che dovrebbero preservare l’opera».
 
Segue un duro atto di accusa verso la gestione tecnica del professor Ossola – ex amministratore straordinario del Consorzio, ora consulente della commissaria Spitz – e del progettista Technital Alberto Scotti. «A loro», continua Ramundo, «non è sopravvissuto nessuno dei sistemi che compongono il Mose: sono critiche le femmine delle cerniere, sono corrosi i tensionatori, e molte tubazioni di servizio e flussaggio, dal calcestruzzo escono percolati rossastri». E infine i pezzi di ricambio acquistati sono «allocati all’aperto perché non esiste un magazzino». Incuria e mancanza di iniziativa che ha provocato l’aggravamento della situazione della manutenzione della grande opera. Le cui prime paratoie sono sul fondo della laguna dal 2013, le altre dal 2020.
 
Ramundo rivela anche un particolare inedito. «Nel novembre del 2019», scrive, (il mese dell’Acqua Granda e della mareggiata, ndr), «abbiamo rischiato un gravissimo incidente a causa di bulloni non serrati, ma il progettista non è stato richiamato, mentre il professor Ossola è diventato consulente del commissario». L’esperta di corrosione punta il dito anche sulla mancanza di analisi a uso assicurativo, «Non si troverà mai una compagnia assicurativa che si prenda in carico il Mose una volta ultimato, se privo di un sistema di manutenzione predittiva basato sul rischio di accadimento di una rottura».
 
Un’accusa precisa riguarda anche le «omissioni» degli ultimi anni: «Non si fanno le ispezioni dei tensionatori ormai da due anni, anche se erano state caldamente raccomandate. E non è mai stato eseguito un controllo subacqueo delle femmine da cui dipende la staticità delle barriere mobili, anche se gli esperti la chiedono a gran voce da anni». «La commissione di collaudo tecnico amministrativo», segnala Ramundo, «non ha mai approvato l’opera».
 
Infine, l’amara conclusione. «L’evidenza che lo Stato non sia in grado di leggere i documenti che i suoi funzionari redigono risulta per me inconcepibile», scrive, «credevo che la Cosa pubblica valesse più di qualunque interesse personale. E non ci si può nascondere dietro il fatto che il Mose è un’opera prima. Il problema non è questo. È che è stato progettato con molte carenze, realizzato al risparmio e affidato a incompetenti, almeno dal punto di vista della corrosione. Venezia non merita questo. Amen.
 
 
 
Un grande Piano europeo per salvare Venezia. Lo spopolamento non si ferma, il mare si alza e il Mose non potrà bastare. Venezia può così diventare un esempio per le città italiane ed europee per un nuovo rapporto tra economia e ambiente, tra società, cultura e memoria storica. Per questo bisogna attingere dalle nuove conoscenze e dalle risorse del Piano di ripresa e resilienza Next generation Eu.
 
È l’appello firmato dalle associazioni nazionali e da trenta comitati e associazioni veneziane che è stato consegnato ieri mattina al Presidente del consiglio, Mario Draghi. Occasione, il Piano italiano della Next generation Eu. «Venezia è al centro delle grandi questioni ambientali e sociali», si legge nell’appello, «la città è pronta per la formulazione di una strategia di ampio respiro, in grado di generare un profondo cambiamento nell’uso delle risorse naturali e nei modi di produzione».
 
Un laboratorio internazionale di buone pratiche. Per il rilancio dell’ecologia e delle attività compatibili con il delicato equilibrio lagunare. 
 
 
Due le emergenze ancora in atto. Il declino sempre più accentuato della popolazione residente, un terzo di quella che era a metà del secolo scorso, ridotta a 50 mila abitanti nella città storica. «Tra pochi anni», si legge nel documento, «Venezia sarà una città vuota di residenti, riconvertita a parco turistico».
 
L’altra emergenza è l’accelerato innalzamento del livello del mare dovuto ai cambiamenti climatici. «La sempre più frequente chiusura del sistema Mose», continuano le associazioni, «sarà incompatibile con la portualità lagunare e con il ricambio delle acque, ma anche con la vita quotidiana dei residenti. Il Mose non potrà garantire nel lungo termine la salvaguardia di Venezia dagli effetti planetari dei cambiamenti climatici».
 
Occorre dunque affrontare un grande piano di interventi, finanziati dal Piano Next Generation, che mettano in pratica le linee europee sulla cultura del turismo, la mobilità sostenibile, la tutela del territori e delle acque».
«L’attuale modello di economia locale», conclude l’appello, «basato quasi esclusivamente sul turismo, sta condannando Venezia alla sparizione. Come Lei ha precisato, signor Presidente, “occorre preservare... luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato”. Ora più che mai questo vale per Venezia».
 
Un documento che grazie al lavoro di alcuni sostenitori ha ottenuto alla fine la sottoscrizione dei tutte le realtà associative e dei comitati veneziani e nazionali, a cominciare da Italia Nostra.
 
Nei prossimi giorni un analogo documento, con allegato il dossier delle attività necessarie alla conservazione e al nuovo sviluppo di Venezia e della sua laguna, saranno consegnati ai nuovi ministri che fanno parte del Comitatone. Il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini, quello per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani, la ministra della Ricerca scientifica Cristina Messa, il ministro dell’Economia Daniele Franco.
 
 
 
Che fine hanno fatto i soldi per pagare le imprese consorziate del Mose? Se lo chiedono in tanti. A cominciare dagli operai e dai tecnici responsabili dei test delle paratie. Che non vengono pagati da mesi. «Avanziamo venti milioni di euro e rischiamo il fallimento», ha avvisato prima di Natale il presidente del Consorzio Kostruttiva Devis Rizzo. Minacce di bloccare i sollevamenti, poi rientrate.
 
«Solo per senso si responsabilità», dicono gli addetti. Ma adesso il problema si ripropone. Il Provveditorato ha pagato le fatture che sono state presentate. Dunque, i 20 milioni sono stati consegnati al Consorzio Venezia Nuova, che deve pagare le imprese. Ma qualcosa è successo, i soldi non ci sono.
 
Nel frattempo al Consorzio è cambiata la governance. L’amministratore straordinario nominato dall’Anac Giuseppe Fiengo si è dimesso dopo che la legge sull’Autorità della laguna lo ha dichiarato “decaduto”. E ha lascito il posto al commissario liquidatore Massimo Miani.
 
Il Consorzio versa in gravi difficoltà. L’aggio del 12 per cento sui lavori, che un tempo garantiva introiti milionari, adesso è ridotto quasi a zero. Molti lavori sono fermi, e il 12 per cento di zero fa sempre zero. Ci sono problemi di liquidità. E anche problemi per pagare gli stipendi ai dipendenti. Tra le società collegate, Thetis è stata salvata da Fiengo due anni fa. Adesso Miani ha azzerato i suoi vertici. Nominando come amministratore unico l’ex ingegnere capo del Comune, l’ingegnere Roberto Scibilia.
 
Comar srl è impegnata nelle movimentazioni del Mose. E dovrà confluire presto nella nuova Autorità. Il Consorzio ha ancora 150 dipendenti, nonostante l’attività ridotta. Miani per ora ha scelto di eliminare soltanto i consulenti, tra cui il commercialista Giampaolo Cocconi – ex amministratore Thetis, e l’ex addetto stampa Antonio Gesualdi.
 
E’ stato ripescato invece l’altro amministratore straordinario, l’ingenere torinese Francesco Ossola, nominato consulente e direttore dei lavori del Mose due mesi fa dalla commissaria Spitz. Che a sua volta si è scelta una squadra di consulenti, costo un milione di euro, sempre soldi del Mose. Anche Miani ha scelto nuovi consulenti, tra cui due avvocati e una commercialista. Il groviglio si complica. 
 
Interpress\M.Tagliapietra Venezia 09.02.20231.- Acqua alta in Piazza San Marco.
Interpress\M.Tagliapietra Venezia 09.02.20231.- Acqua alta in Piazza San Marco.
 
 
Difesa di San Marco in grave ritardo. E’ quanto è emerso ieri durante l’audizione della commissione Cultura del Senato, presieduta da Riccardo Nencini. Dopo decenni di idee e progetti, è rimasta ferma proprio l’opera più importante. La difesa della Basilica di San Marco e della Piazza.
 
Davanti al presidente Riccardo Nencini e ai senatori collegati via web, i relatori. La provveditora alle Opere pubbliche del Triveneto, Cinzia Zincone, la commissaria straordinaria del Mose Elisabetta Spitz. Ma anche l’ex amministratore straordinario del Consorzio Venezia Nuova Giuseppe Fiengo, l’ingegnere Daniele Rinaldo, aurore per la Procuratoria di San Marco del progetto di difesa con le barriere provvisorie in vetro.
 
E infine il professor Stefano Boato e Lidia Fersuoch, rappresentanti di Italia Nostra. Dibattito serrato. Interrotto proprio nel momento clou, quello in cui la commissaria Spitz era chiamata a dare spiegazioni sui motivi dei gravi ritardi. «Non sono per niente soddisfatta», sbotta la senatrice veneziana dei CInquestelle Orietta Vanin, «non ci hanno dato risposte su nulla. Dicono per difficoltà tecniche a collegarsi. Aspettiamo risposte scritte che speriamo arrivino quanto prima».
 
 
Il nodo della questione è il punto dei due progetti di difesa. Uno, quello delle barriere, era già pronto e approvato nel febbraio di un anno fa. Finanziato dalla Procuratoria, 3 milioni e mezzi di lavori messi a disposizione del Provveditorato. Ma a un certo punto l’iter è stato bloccato. La commissaria aveva deciso di stoppare il progetto definendolo «non adeguato dal punto di vista architettonico».
 
E affidando una consulenza allo studio milanese dell’architetto Stefano Boeri, quello dei grattacieli verticali e del logo delle primule per i vaccini antiCovid. Ma le sue proposte sono state ritenute irrealizzabili. Si è tornati al progetto originario, firmato da Rinaldo e dall’architetto Mario Piana. Ma intanto sono trascorsi mesi. E durante la stagione 2020 la Basilica è finita sott’acqua anche due volte al giorno.
 
«Io non mi occupo della città, ma solo del Mose», si è difesa la Spitz, «in quel caso sono intervenuta in quanto membro del Comitato Tecnico di Magistratura» Adesso il progetto delle barriere è stato finalmente approvato e finanziato. Andrà nei prossimi giorni all’esame della commissione di Salvaguardia e i lavori potrebbero cominciare nel luglio prossimo.
 
Il secondo progetto è quello per la difesa dell’intera insula di piazza San Marco. Presentato anche questo nel febbraio dell’anno scorso dalle imprese del Consorzio Thetis e Kostruttiva. Ma bloccato, nonostante ci siano in provveditorato i 31 milioni necessari all’avvio dei primi stralci. Anche la Corte dei Conti ha respinto l’atto con cui il progetto veniva finanziato. E si è deciso che è necessario bandire la gara, anche se si tratta di attività assegnate al Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico delle opere di salvaguardia, e alle sue consorziate.
 
«Bisogna andare avanti», ha detto Boato, «ricordando come il progetto per la difesa della Piazza sia compatibile e rispettoso della delicatezza dell’area marciana. «Dopo decenni di progetti assurdi, che volevano chiudere i gatoli, cioè gli scarichi naturali dell’acqua», ha detto la presidente Fersuoch. Si tratta di intercettare i flussi dell’acqua che entra dal Bacino San Marco con delle valvole. E di svuotare l’acqua piovana che si accumula con pompe. Le rive potrebbero essere rialzate fino a quota 110.
 
Qui un’altra polemica. Sulla decisione del commissario di alzare le barriere del Mose solo quote superiori a 130 centimetri. «Ma tra 110 e 130», è stato obiettato, «la città viene allagata. E le opere di salvaguardia, come i rialzi delle rive, sono stati fatti in funzione del Mose che dovrebbe poi proteggere oltre i 110». Una domanda precisa, a cui non è stata data risposta. «Lo faremo per iscritto», ha garantito il presidente Nencini. 
 
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