Safilo, piano industriale lacrime e sangue 700 esuberi nelle fabbriche del Nordest

La maggioranza delle uscite sarà a Longarone, 400 persone. Chiude lo stabilimento di Martignacco, in 250 a casa 
MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - NUOVO AD SAFILO. ANGELO TROCCHIA
MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - NUOVO AD SAFILO. ANGELO TROCCHIA



«Inevitabili». Erano attesi, si immaginavano cifre, c’erano stati pronostici, ma quel numero, 700 esuberi nel 2020 nelle fabbriche italiane di Safilo, non se li aspettava nessuno. Eppure come ha detto l’ad di Safilo Angelo Trocchia, «sono inevitabili». Gli esuberi sono per la maggioranza nel Bellunese, 400 persone a Longarone, 250 a Martignacco (Udine) con contestuale chiusura di quella unità produttiva, 50 esuberi invece previsti a Padova.

«Ho deciso di venire io direttamente a dirlo ai sindacati a Padova subito dopo la riunione del cda a Milano. Nonostante tutte le cose che abbiamo fatto in quest’anno, il rinnovo delle licenze, le acquisizioni di nuovi marchi, il nuovo accordo con Kering, purtroppo la matematica non ci aiuta: non abbiamo i volumi». Ieri il cda del gruppo padovano dell’occhiale ha deliberato il nuovo piano industriale. Un piano difficile sul fronte sociale, che tra l’altro taglia le stime sui ricavi 2020 e pone l’obiettivo di recupero del miliardo di vendite al 2024, con tassi di crescita ad una cifra.

In realtà, Trocchia, questo va dato atto al manager, ha fatto l’impossibile da quando si è seduto sulla scomodissima poltrona in zona industriale a Padova. Ha ricevuto un gruppo sull’orlo del baratro, ha dovuto seguire una ristrutturazione finanziaria, un aumento di capitale, la revisione del business plan 2020 e gestire l’uscita di scena del brand che era forse il cuore produttivo di Longarone : Dior.

Gli occhiali con la D dorata erano da oltre vent’anni prodotti in quello stabilimento, un sodalizio che ne ha assorbito energie, creatività, maestranze: il 70% di Longarone era dedicato a quel marchio.

Ma, si sa, di fronte il titano del lusso Lvmh con Marcolin ha costruito Thelios, un investimento milionario, 40 milioni di euro, per arrivare a produrre 4,5 milioni di pezzi. Lì dentro ci fa oggi Celine, Loewe, Kenzo, un po’ di Fenty (il marchio di Rihanna) e Louis Vuitton, e domani Dior e Fendi. Entrambe - e questa è la novità di ieri - fuori dal portafoglio nel 2021 (Fendi scadeva nel 2022). La perdita delle licenze del lusso con Lvmh, si legge nella nota, ha reso «necessario» avviare «un piano di riorganizzazione e ristrutturazione industriale, che risponda prontamente al nuovo scenario produttivo». Safilo «ha aperto un tavolo negoziale» con i sindacati allo scopo di «individuare tutti gli ammortizzatori sociali disponibili per limitare gli impatti sulle persone coinvolte». «Da parte nostra» dice Trocchia al telefono, appena conclusa la riunione «c’è la massima disponibilità a discutere apertamente le modalità per gestire la situazione».

Il gruppo è stato costretto anche a tagliare gli obiettivi al 2020, riducendo i target dei ricavi netti tra i 960 e il miliardo di euro, rispetto all'obiettivo di 1.000-1.020 milioni comunicato lo scorso 2 agosto 2018. Il margine, Ebitda adjusted, si riduce al 6% delle vendite rispetto al precedente obiettivo di 8%-10%. Uno scostamento dovuto ancora una volta all’uscita di Dior. Per il 2019 invece le vendite nette dovrebbero restare stabili.

In realtà le notizie positive su Safilo sono state diverse in questi giorni, tanto che il titolo ha toccato il suo massimo in Borsa chiudendo ieri al +10,48%, grazie al rinnovo anticipato di Marc Jacobs, licenza del mondo Lvmh che pesa circa il 4% dei ricavi, rinnovata anticipatamente fino al 2026. E poi l’acquisizione dei californiani Blenders Eyewear e la nuova licenza Under Amour. «Sembra una contraddizione» è la riflessione un po’ amara di Trocchia «abbiamo fatto molte cose, ma se vogliamo assicurare un futuro a Safilo, se vogliamo che viva per altri 150 anni e torni grande come era, dobbiamo fare delle scelte». Queste. —



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