Salvini o Giorgetti con l’ombra di Bossi

Al Lingotto di Torino il 14 e 15 dicembre l’elezione diretta del segretario. Zaia: serve un candidato giovane e unitario
Di Albino Salmaso

MESTRE. Addio verdi bandiere padane, addio marce dei popoli in riva al Po e tra le calli di Venezia, la Lega 2.0 di Bobo Maroni sceglie un profilo istituzionale per scrivere le 7 tesi congressuali e lanciare una svolta: il nuovo segretario sarà eletto con il modello delle «primarie». Ma sul destino del Carroccio pesa l’ombra di Bossi, che alle 10 del mattino annuncia di volersi candidare e due ore dopo fa un passo indietro. Strategia o sussulto d’orgoglio? Fra tre mesi la risposta.

Maroni invece tira dritto e annuncia che il 14-15 dicembre aprirà le porte del Lingotto a tutti gli iscritti della Lega con 5 anni di anzianità. Sono 9.600, si affretta a dire Giancarlo Giorgetti mentre stringe la mano all’ex ministro Roberto Castelli che gli fa gli auguri: «Caro segretario, ora tocca a te. Bobo ha deciso di lasciare e non torna indietro». E Giorgetti ribatte: «Non credo proprio che mi sceglieranno, vedo Matteo Salvini in pole position per la successione». Sono le 13,20 e nella sala convegni del Russot a Mestre cala il sipario. Maroni è stato chiarissimo: «Voglio fare il governatore della Lombardia a tempo pieno, è giusto distinguere le due funzioni. Dobbiamo far rullare i tamburi del Nord e ho deciso di convocare il congresso il 14 e 15 dicembre al Lingotto di Torino. Non siamo un gruppetto di sfigati, dobbiamo dare l’idea della potenza della Lega, mostrare i muscoli e non fermarci di fronte ai cavilli dello statuto e litigare come fa il Pd. Saremo in 10 mila e voteremo anche di notte per dare voce al popolo della Lega con l’elezione diretta del segretario».

Parte l’ applauso. In sala ci sono tutti i big e i militanti che hanno segnato la storia del Carroccio. Mariella Mazzetto, ex sottosegretario all’Istruzione negli anni Novanta, mostra orgogliosa la lettera di invito di Maroni. Gli assessori veneti Ciambetti, Finozzi e Stival sono in prima fila con il capogruppo al Senato Massimo Bitonci, elegante come un lord. Ma il personaggio è lui: Umberto Bossi. Con il sigaro in bocca è spalla a spalla con Maroni al centro del tavolo che accoglie anche Matteo Salvini, leader della Lega Lombarda; Flavio Tosi, sindaco di Verona e leader della Liga-Lega Veneta e poi Giancarlo Giorgetti, deputato, laurea alla Bocconi, commercialista ed esperto di finanza: saranno loro tre a contendersi lo scettro del comando che Maroni vuole cedere prima del voto del 2014.

Al loro fianco Roberto Cota, governatore del Piemonte, e Luca Zaia, suo alter ego in Veneto, che mette fine a tutte le polemiche. «Sono convinto che si arriverà ad una scelta unitaria. Un veneto dopo Bobo Maroni? Io non mi candido, resto governatore a tempo pieno. Bossi? Resta il padre nobile della Lega, rappresenta la nostra storia ma il futuro lo dobbiamo affidare ad un giovane. In Lega però non si va alla conta», conclude Zaia.

Tutto a posto? Roberto Maroni non vuole aprire polemiche con Umberto Bossi, ma è sicuro che il Carroccio non tornerà all’antico come il Pdl che ha fatto rinascere Forza Italia. Le alleanze? Il patto con Berlusconi non si discute, ma nel centrodestra si è aperta la lotta per la successione e la Lega giura pieno appoggio alla candidatura di Flavio Tosi alle primarie dei moderati. Ci saranno mai? Telefonate al Cavaliere...

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