Santini: «Il sussidio d’inclusione c’è e ora va evitata l’assistenza a vita»

VENEZIA. Giorgio Santini, un passato remoto da sindacalista, un passato prossimo da senatore del Pd, ha lavorato nella legislatura appena conclusa sul reddito di inclusione, in sigla Rei.
Che cos’è il Rei, Santini?
«Alle famiglie che hanno meno di 6 mila euro di Isee e figli minori a carico viene assicurato un “reddito di inclusione” per 18 mesi, rinnovabile solo una volta per 12 mesi e modulato sulla consistenza del nucleo familiare. Sono 187 euro a persona. Una coppia con due figli arriva a 480 euro. L’erogazione è subordinata all’accettazione di un lavoro, perché parliamo di un disoccupato, quindi all’attivazione per cercarlo, ma anche alla frequentazione scolastica dei figli, perché l’altro obiettivo è il recupero scolastico».
Chi gestisce questi rapporti?
«I Comuni e i Centri per l’impiego devono prendere in carico queste persone. Le quali a loro volta devono impegnarsi a frequentare i corsi di formazione. A Padova questa esperienza è già in atto. La conosce bene la Caritas, che fa corsi per volontari. Il problema è che spesso queste persone non sanno neanche di avere questa possibilità di reddito».
È anche vero che questa esperienza è appena partita…
«Non proprio. Il Rei nasce da un accordo tra il governo Gentiloni e 35 associazioni che si occupano di contrasto alla povertà: dalle Acli ai sindacati confederali alla Croce rossa e tante altre. Se ne parla da tempo, il protocollo definitivo è stato firmato tra maggio e giugno del 2016, l’avvio è avvenuto a gennaio di quest’anno»
Quanti saranno i poveri sotto 6 mila euro Isee?
«Attualmente il Rei coinvolge circa 500.000 famiglie in Italia, quindi un milione e mezzo di persone, considerando tre componenti per famiglia. A luglio la dotazione del Rei sarà aumentata e si dovrebbe arrivare a circa 700.000 famiglie»
Il Rei potrebbe saldarsi col reddito di cittadinanza del M5S?
«Mi auguro di sì. Cristiano Gori, il capo delle 35 associazioni che hanno fatto l’accordo con il governo Gentiloni, dice che riformare la riforma sarebbe un errore: non per denigrare i Cinquestelle ma per lottare contro la povertà in modo incisivo. Lavoriamo sul Rei, dicono, allarghiamolo piuttosto, non buttiamolo a mare».
Ma i controlli come li fate?
«Questo problema riguarda tutte le forme di sussidio. Già adesso per esempio c’è la misura che se non accetti l’offerta di lavoro perdi la cassa integrazione o l’indennità di disoccupazione. Ma non c’è un caso che sia avvenuto in Italia».
Per quale motivo, nessuno va a controllare?
«No, perché i controlli sono affidati a personale di prossimità. Se io sono l’impiegato che ti dice: guarda che informo l’Inps che hai rifiutato il lavoro, è chiaro che tu dopo mi vieni a trovare a casa. Oggi l’Inps dà i soldi ma chi deve fare i controlli è il centro per l’impego e dietro questa ambiguità non succede nulla. E non succederà nulla neanche con il reddito di cittadinanza, se mai lo faranno».
Ma negli altri paesi come fanno?
«In Germania, paese federale, il controllo è affidato ad un’agenzia statale che non subisce i condizionamenti del territorio. Peraltro ci lavorano 90 mila persone, nei nostri centri per l’impiego ce ne sono 10 mila. Questo il rapporto. In ogni caso il problema dei Rei come del reddito di cittadinanza è che il driver deve essere il lavoro non l’assistenza, altrimenti si finisce come con i lavori socialmente utili».
Sarebbe a dire?
«L’assistenzialismo a vita. Quando ero nel sindacato ci facevo caso sempre: l’ultima legge dello Stato ogni anno era il Milleproroghe e c’era immancabile il capitoletto che prorogava i 200-300 milioni dei lavori socialmente utili. Un appuntamento fisso, assistiti a vita».
Renzo Mazzaro
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova