Schiavon: «Non credevo fossero persone legate alla criminalità»

venezia. Prime ammissioni sulle fatture false ma una netta presa di distanza dalla ’ndragheta. Perché sì, qualche fattura falsa anche scivolava, ma gli imprenditori che ne facevano uso non sapevano che a beneficiarne erano i membri di una famiglia ’ndraghetista, che le usavano per riciclaggio. Il quadro emerge dagli ultimi interrogatori nell’ambito dell’inchiesta Camaleonte della procura antimafia di Venezia che ha svelato la presenza ’ndraghetista nel Veneto, con i fratelli Michele e Sergio Bolognino che riciclavano denaro con false fatturazioni: loro riciclavano e gli imprenditori abbassavano il loro reddito imponibile o costruire provviste in nero.
Ieri davanti al giudice Gilberto Stigliano Messuti si sono presentati gli imprenditori con una posizione marginale nell’inchiesta - perlopiù destinatari di una misura interdittiva che prevede il divieto di esercitare attività per un anno - ma le cui dichiarazioni possono essere importanti per costruire il contesto.
L’imprenditore kosovaro Shala Ilir, titolare della Shala Coperture di Asolo, affiancato dall’avvocato Carlo Cianci, ha ammesso che qualche fattura falsa può essere scivolata, con il solo obiettivo di abbattere il reddito imponibile, ma ha negato con forza di sapere che le fatture erano emesse nei confronti di aziende nell’orbita o riconducibili ai fratelli Bolognino.
Ilir avrebbe anche spiegato che non è vero che i soldi per emettere le fatture gli venivano anticipati, in piccole somme, in contanti. Stando all’inchiesta di carabinieri e guardia di finanza i contatti di Ilir erano con la coppia Leonardo Lovo e Adriano Biasion. Davanti al giudice ha deciso invece di rilasciare dichiarazioni spontanee l’imprenditore padovano Federico Schiavon (difeso dagli avvocati Massimo Malipiero e Sandro Terrestri), anch’egli accusato di riciclaggio. Nelle sue dichiarazioni Schiavon, titolare dell’impresa Afm Schiavon, specializzata in parquet, ha spiegato che mai avrebbe immaginato che quelle persone con le quali aveva avuto rapporti di lavoro fossero riconducibili a persone legate alla ’ndragheta. Secondo l’accusa la ditta avrebbe ricevuto fatture di acquisto dalla Trs e dalla Tmc oltre ad aver fatto operazioni di acquisto dalla Biasion Group, dalla Doge veneziano e dalla Passion, società queste ultime due gestite da Germano Cecchin, al servizio Lovo. I sequestri preventivi nei confronti di Schiavon - tra i soldi del conto corrente personale e quelli dell’azienda - ammontano a oltre 70 mila euro.
Ieri giornata di interrogatorio anche per il vicentino Angelino Crispino, 52 anni, di Rosà, accusato di riciclaggio e ritenuto il postino di Sergio Bolognino. Quello che, per suo conto, consegnava buste anticipando il denaro agli imprenditori che poi avrebbero dovuto emettere le fatture false. Buste piuttosto pesanti, anche con banconote per 100 mila euro, per Lovo e Biasion.
Crispino, difeso dall’avvocato Paolo Reginato, ha ammesso la consegna delle buste. «Pensavo che si trattasse di semplici affari tra imprenditori, era un modo per fare un favore a Bolognino», ha spiegato al gip, sostenendo di non sapere a cosa potessero servire i soldi contenuti nelle buste, e di non conoscere le persone alle quali, su indicazione di Bolognino, le consegnava. Crispino, manovale, aveva lavorato per l’azienda edile individuale di Sergio Bolognino, e con la consegna delle buste voleva solo fare un piacere al suo datore di lavoro, sperando di essere chiamato per lavorare.
Sono iniziati anche a Reggio Emilia gli interrogatori di garanzia. Ieri è stato interrogato Giuseppe De Luca, salernitano di 55 anni, ai domiciliari. È considerato un prestanome di Antonio Brugnano per reati legati alle false fatturazioni. Si è avvalso della facoltà di non rispondere.
È stata disposta la liberazione per Marco Carretti, 36 anni, indagato per il filone legato alle false fatturazioni. Il suo avvocato, Annalisa Bassi, aveva depositato l’istanza di revoca della misura restrittiva degli arresti domiciliari, ritenendo insussistenti le esigenze cautelari in quanto parte dei capi contestati riguardano il processo legato all’inchiesta emiliana “House of cards” in cui Carretti aveva già patteggiato 2 anni, pena sospesa. —
Francesco Furlan
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