Tutte le novità del Vinitaly 2019, a Verona dal 7 al 10 aprile

Presenti 17 mila etichette, obiettivo Estremo Oriente. Consumi, l'Asia supera il Sudamerica. La questione aperta di trasporti e logistica

L'EDIZIONE 2019

All you can drink. La 53/ma edizione di Vinitaly, a Veronafiere dal 7 al 10 aprile, è la vetrina scelta da 4.600 aziende del vino e distillati da 35 Paesi, per un totale di oltre 16mila etichette a catalogo. Gli spazi espositivi, come sottolineato dal presidente di Veronafiere, Maurizio Danese alla presentazione del Salone internazionale a Roma, registrano il sold out dallo scorso novembre, nonostante l'aumento della superficie netta disponibile (con oltre 100mila mq di area).

Tra le novità, il nuovo salone Vinitaly Design e l'Organic Hall, l'agorà dei vini naturali e bio. Confermata, da Veronafiere e dal sindaco di Verona Federico Sboarina, la formula di Vinitaly: business in fiera, e wine lover gli enoappassionati in città, con Vinitaly and the City (5-8 aprile) nei luoghi più caratteristici del bel centro storico scaligero.

«Arriva un Vinitaly no limits, - ha detto il Ceo di Veronafiere, Giovanni Mantovani - un'altra edizione in crescita. Grande l'attenzione ai buyer esteri e asiatici in particolare. Al prossimo Vinitaly, in termini di presenze espositive e metri quadrati netti il più grande di sempre, sono in media ad ogni edizione più di 5.500 gli operatori provenienti dal Far East» ha precisato Mantovani ricordando che l'edizione 2019 sarà «una digital transformation liquida. La faremo anche digitalizzando e profilando sempre più Vinitaly, che già oggi conta sulla più grande wine library del vino italiano al mondo, con i contenuti di 4.600 aziende e 17.000 etichette tradotti in 9 lingue. Una directory che sotto evento registra 1,2 milioni di pagine viste».


IL MARCHIO



Ormai ha poco bisogno di presentazioni: in Italia il marchioVinitaly è conosciuto da 3 italiani su 4. È quanto evidenziato da una indagine sui consumi interni di vino illustrata dal Ceo di Veronafiere, Giovanni Mantovani. In fiera il business, con 130 nuovi espositori diretti provenienti anche dall'estero (35 Paesi) e con le novità del nuovo salone Vinitaly Design e l'Organic Hall; in città la sempre più partecipata Vinitaly and city che evidenzia la cultura e la suggestione di un prodotto che fa parte del paesaggio, del lavoro, dell'economia e della storia italiana.

Ora Veronafiere è al lavoro per una piattaforma di proprietà e per consolidare il marchio fieristico all'estero. «Dal punto di vista commerciale - ha detto il presidente di Veronafiere, Maurizio Danese - la Cina e tutto il Far East offrono grandi opportunità per il made in Italy anche per la complementarietà delle produzioni. Stiamo ponendo le basi - ha annunciato - per una presenza costante in Cina di Vinitaly e degli altri nostri settori di punta, come l'agritech, il design, il marmo, attraverso una piattaforma fieristica proprietaria dedicata».

Come sistema Italia, ha sottolineato il Ceo di Veronafiere, Giovanni Mantovani - «abbiamo i numeri, la qualità e il fascino per penetrare un mercato gigantesco, ma non servono proclami e solitarie fughe in avanti. Bisogna tuttavia capire che oggi per contrastare vecchi e nuovi competitor non serve più marciare in ordine sparso, bisogna correre in un'unica direzione e con un brand in grado di aprire la strada.

Nel corso dell'anno in Cina, tra i road show in calendario, l'Academy di Vinitaly International e le partnership fieristiche in corso e quello di nuovo ed importante stiamo realizzando saremo in grado di dare alle aziende e alle istituzioni un ulteriore supporto promozionale su quest'area strategica per il futuro dei nostri prodotti, non solo del vino».


OBIETTIVO CINA
 



Non va al galoppo come i francesi, ma al trotto sì, e l'Italia del vino corre spedita lungo la Via della Seta e verso i promettenti mercati dell'Asia più remota. L'Italia, secondo l'analisi condotta dal responsabile di Nomisma-Wine Monitor Denis Pantini, è certamente cresciuta nelle vendite, ma meno dei suoi concorrenti: in Cina in 5 anni l'incremento italiano ha sfiorato l'80%, mentre le importazioni da mondo hanno segnato un +106%.

Così a Hong Kong (+28% vs +67%) e in Corea del Sud (+36% vs +60%) e soprattutto in Giappone - il mercato più tricolore in Asia - dove il Belpaese non ha fatto meglio di un +3,4%, contro una domanda del Sol Levante cresciuta di quasi il 30%.

Per dirla in bottiglie, continua l'esperto di Nomisma, nel 2018 l'Asia Orientale ha importato quasi 93 milioni di bottiglie di Bordeaux (e 6 milioni di Borgogna), mentre il complessivo dei rossi Dop provenienti da Toscana, Piemonte e Veneto supera di poco i 13 milioni di bottiglie. Tradotto in valore, il rapporto è 11 a 1, quindi 864 milioni di euro del solo Bordeaux contro 77 milioni dei rossi Dop delle tre regioni italiane.

Il futuro, a detta dell'Osservatorio Nomisma, si annuncia comunque interessante per il Belpaese, con un tasso annuo di crescita stimato nei prossimi 5 anni superiore ai consumi dell'area: fino all'8% in Cina, dall'1% al 2,5% in Giappone, complice l'accordo di partenariato economico, dal 5,5% al 7,5% in Corea del Sud e dal 3% al 4,5% a Hong Kong.


EFFETTO ASIA



Cambia da qui a tre anni la geografia mondiale del business del vino: la domanda globale di vino dell'Asia Orientale vale 6,45 miliardi di euro di import ed è già prossima all'aggancio del Nord America (Canada e Usa), piazza da 6,95 miliardi di euro.

Nella competizione globale, l'Asia Orientale gareggia per la Champions League con un balzo a valore negli ultimi dieci anni del 227% (12,6% il tasso annuo di crescita negli ultimi 10 anni): 11 volte in più rispetto ai tradizionali mercati Ue e quasi il quadruplo sull'area Nordamericana. Un distacco sullo sprint che sembra chiudere ogni gara con i campionati minori, secondo il quadro delineato «Asia: la lunga marcia del vino italiano», a cura dell'Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor.

«L'Asia Orientale - ha sottolineato Giovanni Mantovani, Ceo di Veronafiere Spa - non è solo Cina ma molto di più: rappresenta una area commerciale di circa un terzo della popolazione mondiale e di questo passo la domanda di vino del Far East supererà entro tre anni quella del Nord America».

Su questa nuova rotta orientale, l'Italia finora ha però fatto solo capolino rispetto alla Francia, nonostante, come evidenzia lo studio Nomisma, una tenuta in terreno positivo del sistema vino made in Italy a livello mondiale (+3,3% nel 2018 sull'anno precedente). La presenza in Asia Orientale di vini made in Italy è ancora marginale rispetto alle potenzialità italiane. Per il presidente di Veronafiere, Maurizio Danese: «La lunga marcia italiana verso l'Asia si è rivelata in questi anni ancora più faticosa per la mancanza di una vera regia di sistema Paese».

Alte temperature, sbalzi termici, esposizione alla luce e vibrazioni mettono a dura prova la tenuta di vino e olio, due prodotti molto sensibili agli stress da viaggio. Per questo è necessario incorporare la logistica nei progetti di filiera in modo da superare le criticità del trasporto e dello stoccaggio.

È l'appello lanciato dal presidente della CIA-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino, intervistato nello speciale della rivista 'Uomini e Trasportì dedicato alla logistica del vino e dell'olio, uno dei temi che verrà affrontato nel Vinitaly di Verona di quest'anno.

Può capitare, infatti, che un Prosecco bevuto a New York ma anche a Palermo sia diverso, a volte peggiore, di quello sorseggiato a Venezia. All'olio, se possibile anche più delicato del vino, a volte basta un'illuminazione troppo intensa per trasformare un prodotto di prima qualità in uno ordinario. Eppure non esiste né in Italia né a livello internazionale alcuna norma che indichi le modalità di trasporto di questi due prodotti, senza alcun obbligo di controllo delle temperature a bordo dei camion o dei container.

Così il mercato procede in ordine sparso e accanto a ottimi esempi di imballaggi e consegne di qualità, convivono pratiche artigianali, dove il trattamento del prodotto viene lasciato alla buona volontà dell'operatore che spesso non ha consapevolezza del grande valore racchiuso nella bottiglia. Valore per il palato, ma anche e soprattutto per la reputazione dell'intera filiera e del made in Italy in generale.

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