Ufficiale, il Veneto resta rosso. Ecco gli scenari dopo Pasquetta: scuole aperte e tamponi di massa

Il governo e la Regione in sintonia: se bisogna investire meglio farlo sugli studenti che sui patiti dello spritz. 
VENEZIA. Un indicatore, quello che nei reparti Covid viene chiamato “l’indice dei bauchi”, cioè l’incidenza di casi di contagio ogni 100 mila abitanti. Draghi aveva avvertito: “Le decisioni d’ora in poi le prenderanno i numeri”.
 
E così in Veneto “l’indice dei bauchi”, cioè quello che fa capire quanto una zona rispetta le norme anticontagio ed evita assembramenti, è sforato: 254 invece di 250. Solo grazie ai “bauchi” un'intera regione è rimasta in zona rossa e vi rimarrà “almeno fino a Pasquetta” dice con una faccia sconsolata il presidente della giunta regionale. 
 
E non conta che siamo i “meglio dei peggio”: in Friuli sono ben più alti: 410 ogni 10 mila, seguono Piemonte (354), Emilia-Romagna (351), Lombardia (293), Puglia (292), Valle d'Aosta (291), Marche (284), Provincia di Trento (279). Ma forse sforare di 4 fa ancora più rabbia, verrebbe da prendere quei quattro bauchi di troppo e spiegargli come si vive.
 
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Che poi va chiarito subito un particolare: i più rilassati, dopo la dedisione del governo di mantenere otto regioni, tra cui il Veneto, in zona rossa sono proprio i presidenti regionali. La decisione, dicono ogni volta con la faccia afflitta, "l'ha presa il governo", oppure la variante "è di competenza governativa". Le decisioni impopolari le prendono gli altri: una pacchia.
 
E il Veneto non fa differenza. Perfino una persona accorta con le parole e poco, davvero poco propensa a gridare “al lupo, come il neo direttore generale dell’Azienda ospedale Università di Padova, Giuseppe Dal Ben, il 23 marzo ha parlato di “situazione critica” dopo aver scorso i numeri dei ricoveri e delle terapia intensive e delle prospettive.
 
In molti alla riconferma in rosso avranno tirato un sospiro di sollievo: rosso come conti in rosso e quindi ristori, mentre arancione è il colore dello spritz, l’elemento che ha spinto il dg della Usl 2, Francesco Benazzi a parlare a inizio mese di “classe di età dello spritz” per indicare quella a maggior rischio di contagio nella terza ondata: quella dei ventenni e trentenni che si assembrano al bar.
 
PER APPROFONDIRE:
Ma c’è un gruppo che non va al bar, non tiene comportamenti a rischio ed è più che disposto a seguire le regole: i bambini e ragazzi delle scuole dell’obbligo.
 
In zona rossa finora le scuole erano state chiuse, tutte, asili compresi. Unici esclusi i bambini “bes”, cioè con bisogni educativi speciali che hanno continuato ad andare all’asilo e alle elementari.
 
Famiglie con orari sconvolti, nonni in attesa del vaccino che hanno paura di beccarsi qualcosa dai nipotini, baby sitter che “fidarsi o non fidarsi?”: mamme e papà a darsi i turni. Quelli in smart working che si vedono rinchiusi in gabbia con le belve dentro. E la scuola in didattica a distanza (Dad)? Tra connessioni ballerine e computer contati è un’esperienza da baciarsi le mani se hai i figli già grandi.
 
La dimostrazione è che mai nessuna categoria aveva organizzato così tante dimostrazioni come quella dei genitori di ragazzi in Dad: solo venerdì 26 ne sono state organizzate in ogni paese del Veneto. Il dossier scuola, quindi, è uno dei più bollenti.
 
Ora cosa succederà?
 
Fino a Pasquetta nulla. In pratica i quattro giorni scolastici che ci separano dalle feste saranno passati dai pargoli tra le mura domestiche. Ma dopo si aprono due strade.
 
La prima, valida per tutti è quella indicata dal presidente del Consiglio Mario Draghi: dopo Pasqua si riaprono le scuole, dagli asili alla prima classe delle medie e forse oltre anche nelle regioni a zona rossa.
Il governo ha deciso di “investire” sulla scuola privilegiando i ragazzi e le famiglie anche nelle zone con maggiori restrizioni, cioè quelle rosse: tra i ragazzi e i patiti dello spritz, è stato il ragionamento di Draghi, meglio investire sugli studenti e sulle loro famiglie.
 
Il corollario a questa decisione è che la linea dura non sarà tolta, anzi: fino al 30 aprile, ha fatto sapere il Governo, nessuna regione, per nessun motivo, potrà andare in zona gialla. Il massimo cui aspirare quindi è l’arancione, con blocco degli spostamenti e chiusura di bar e ristoranti.
 
Il motivo è che i rappresentanti del Comitato tecnico scientifico (Cts) Silvio Brusaferro e Franco Locatelli hanno ribadito a Draghi la gravità dei dati e la necessità di confermare le chiusure per evitare una risalita della curva epidemiologica: se si allentano le maglie con le regioni ancora in arancione e nel bel mezzo della più grande campagna vaccinale della storia, il rischio di ritrovarsi una pandemia fuori controllo è enorme.
E con una pandemia fuori controllo a rimetterci è il Paese, economia compresa.
 
Ma la seconda variante è quella del “concorso” tra Stato e Regioni, cioè quegli sforzi organizzati da queste ultime per aumentare gli effetti delle decisioni governative o per appoggiarle.
 
E qui il Veneto ha spiazzato tutti annunciando i tamponi di massa per tutti gli studenti, bambini dell’asilo compresi. Una strada con l’obiettivo di mantenere aperto ciò che si apre, cioè assicurare alle scuole che il ritorno degli studenti in classe non si tramuti in esplosione dei contagi e delle relative quarantene che a febbraio hanno portato alla chiusura di interi istituti e alla morte di due docenti.
 
Il covid point per bambini della Madonnina a Treviso
Il covid point per bambini della Madonnina a Treviso
 
Il Veneto è avanti a molte altre zone europee: da tempo lo “zar” del tracciamento, il professor Roberto Rigoli, sta studiando tamponi soffici, annunciati da Zaia in agosto: “Li faremo anche a forma di ciuccio
 
Non saranno proprio ciucci, ma dei “cotton fioc” morbidissimi quindi molto meno invasivi, cui - si spera - i bambini faranno l’abitudine.
 
Perché il piano è quello di farne tantissimi: uno alla settimana per ogni bambino, dai tre anni in su, non appena varca la soglia della scuola.
 
“Saranno di quelli a fossa nasale, quindi non rinofaringeo”, ha spiegato Zaia. Per una risposta più veloce possibile si useranno quelli rapidi, non i monoclonali. “Li usano in tutto il mondo”, ha concluso Zaia, “ci sarà un perché”.
 

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