Un interrogatorio lungo 57 pagine «Non ho mai trafficato con i virus»

PADOVA. Il 2 luglio 2007 Ilaria Capua siede davanti al pm di Roma Giancarlo Capaldo, assistita dall’avvocato Oliviero De Carolis. Si è presentata spontaneamente, ma sa che è un’inchiesta penale sul traffico di virus, non «un’altra faccenda», come ha dichiarato in una recente intervista. A giudicare dalle domande che pone, il magistrato si era fatto un’idea precisa degli avvenimenti.
La prima cosa che gli interessa chiarire è la contraddizione tra il comportamento della Capua e quello della commissione consultiva del farmaco, a proposito dell’importazione del Dindoral, un vaccino vivo per il trattamento dei tacchini. Il Dindoral era stato sequestrato appena arrivato in Italia, perché la commissione aveva stabilito che non c’era emergenza, mentre la Capua aveva dato parere favorevole al ministero della sanità. Come si conciliavano le due cose?
La Capua annaspa, non sapeva del no della commissione, se la cava dicendo: «Punti di vista diversi».
Il confronto si sposa sui meccanismi di commercializzazione dei farmaci animali. «Non so niente di commercializzazione, io mi occupo della parte tecnica» a domanda risponde la Capua. «Mi era stato chiesto un parere».
«Ma il parere era sulla commercializzazione», insiste il pm, che vuol sapere anche chi se ne occupava all’Istituto Zooprofilattico. «Il direttore amministrativo Francesco Favretti e il direttore generale Igino Andrighetto», è la risposta (entrambi sono ancora inquisiti nel troncone padovano dell’inchiesta).
Lo Zooprofilattico di Padova funzionava come una banca del vaccino. «Abbiamo fatto la diagnosi dell’influenza aviaria in tutta l’Africa» spiega Ilaria Capua. «Siamo stati i pionieri della vaccinazione».
«Ma il passaggio alle aziende come avviene»? chiede Capaldo. «Su richiesta loro, ma non sempre lo diamo», risponde la Capua. Che però all’insistenza del magistrato che vuol capire i passaggi non riesce a precisare. «L’autorizzazione a consegnare di chi deve essere?» non molla il pm. «Non mi ricordo se la richiesta arriva direttamente dall’azienda o dal ministero».
«Ma è lei che poi deve autorizzare». «No, l’autorizzazione non la do io» risponde la Capua. «L’autorizzazione in modo implicito al suo dipendente, intendo, che vada a prelevare il ceppo e poi consegnarlo». «Mi arriva la richiesta: Ilaria consegna due ceppi al dottor Tizio che verrà a ritirarli e io lo faccio».
Si viene a sapere che la vaccinazione aviaria in Italia è stata sospesa il 31 dicembre 2006, con disappunto della Capua si intuisce, perché più che l’epidemia ha potuto la pandemia mediatica: «Si è parlato di un crollo del consumo di carne e di uova del 70%, fatto che è costato tantissimo ai produttori», dice la ricercatrice.
«Siccome vaccinare gli animali costa, i produttori a quanto ho capito volevano il cofinanziamento del ministero. Si è innescato un meccanismo che non conosco», dice Capua. Le campagne per la vaccinazione animale portano a scoprire il baruffone latente fra le tre multinazionali della virologia: Merial, Ford Dodge e Intervet. «Il direttore generale dei servizi veterinari al ministero, Mirabelli, era irritato» racconta la Capua. «Gli olandesi di Intervet avevano isolato per conto loro il vaccino e abbiamo dovuto utilizzare quello, perché era l’unico disponibile». Anche Romano Mirabelli è uno degli inquisiti. La prima campagna di vaccinazione era stata fatta con l’H7N3 della Merial, ceduto sottobanco – secondo le indagini del Nas – dalla stessa Capua, con l’avallo di Stefano Marangon, in cambio di denaro.
E’ questo il punto che bisognerebbe chiarire. Ma il pm non spinge le domande in questa direzione: evidentemente non vuole scoprire le carte. Se ne rende conto l’avvocato difensore: «La domanda che faccio io alla dottoressa Capua», interviene De Carolis, «è questa: ci sono interessi di carattere economico con ditte farmaceutiche che possono riguardare la sua posizione?» «Assolutamente no», risponde la Capua.
«Riceve contribuzioni di qualunque tipo?» insiste l’avvocato. «Assolutamente no».
«Lei conosce qualcuno di queste aziende, ha rapporti costanti?» si inserisce il pm Capaldo. «Sono dieci anni che lavoro con loro, li conosco, certo», risponde la Capua.
«I tecnici o anche gli amministratori?», chiede ancora il pm. «Beh, ho conosciuto l’amministratore delegato della Merial italiana, non so se è ancora lui, si chiama Crippa».
«E altri personaggi particolari, con cui lei ha più contatti?», riprende l’avvocato De Carolis. «Per la Intervet c’è il dottor Meini», risponde Ilaria Capua.
«Questa è la risposta alla domanda del difensore», è la sibillina precisazione del pm Capaldo. Sibillina perché Amelio Meini era il dirigente della Intervet al quale «la Capua e Marangon volevano cedere il test discriminatorio Diva brevettato dallo Zooprofilattico, in cambio di lauti profitti patrimoniali per gli stessi Marangon e Capua». Lo si legge nelle carte padovane, dove saltano fuori anche «ingiustificati pagamenti eseguiti dall’Istituto in favore del marito della Capua, Richard John William Currie». Tutto prescritto.
Renzo Mazzaro
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