Una postfascista (non pentita) a Palazzo Balbi

Elena Donazzan. Qui sopra a Valdobbiadene a una commemorazione della Decima Mas
Elena Donazzan. Qui sopra a Valdobbiadene a una commemorazione della Decima Mas
 
VENEZIA.
A Donazzan, di' qualcosa di antifascista! D'alemianamente, a parti invertite ma con altrettanta coerenza, l'assessore regionale all'istruzione Elena Donazzan non dirà mai niente di antifascista. Dirà qualcosa di democratico, molto di antitotalitario, di anticomunista un sacco, e magari anche qualcosa di buono, ma di antifascista, mai. L'Anpi la detesta, i ragazzi della Giovane Italia l'adorano. Sul suo sito si trovano citazioni di Tolkien - «le radici profonde non gelano mai» - ed epigrammi di Almirante.
 «Vivi come dovessi morire subito, pensa come non dovessi morire mai». Elena, così giovane è così antica, è diventata un caso da quando s'è capito che non vuole annacquare il vino di An con l'acqua berlusconiana, persiste, insiste ed è cocciuta nel comportarsi come una An antemarcia: ha messo all'indice i libri degli autori pro Cesare Battisti, ha convocato conferenze stampa in solitaria in cui denuncia la sua stessa giunta e il finanziamento pubblico di un libretto scritto dall'Anpi - «giustifica i crimini titini» - manda cofanetti patriottici e Dvd nelle scuole, castiga ed è castigata a sua volta, come a inizio mandato quando commissionò ai suoi ragazzi un opuscolo sull'identità europea che mandò fuori dai gangheri i professori di storia dell'Istituto Rossi di Vicenza. La Shoa non v'era nominata, vi si ricordava l'«aberrazione comunista» ma non quella nazifascista.  Il libretto finì nei cestini con una coda farsesca degna della miglior commedia dell'arte italiana: si seppe che l'autore - un laureando di 22 anni (della Giovaane Italia) - aveva copiato papale papale da Wikipedia un testo del professor Wolfgang Pruscha, neanche un revisionista alla Nolte, ma uno abbastanza suscettibile da prendersela a male: il professore querelò, fece causa per furto di proprietà intellettuale e l'autore, il protegé della Donazzan, venne condannato a 5 mila euro di risarcimento per aver orecchiato gratis e male. Ieri sera Elena era in sala Palladin a Padova a sostenere i ragazzi della Giovane Italia e a vendicare le «vergognose affermazioni del sindaco Zanonato» che da Telenuovo, l'altro giorno, aveva definito la fiaccolata in ricordo di 350 mila esuli istriani e dalmati una manifestazione di «ignobili rigurgiti fascisti», «immondizia da trogloditi».  Elena ha 39 anni, il fascismo l'ha visto solo in fotografia. È fascista come Niki Vendola è comunista, come uno può essere calciatore senza aver memoria di cosa sia una palla o il campo di calcio. Sostiene le cose che sosteneva Fini, la riconciliazione nazionale, la dignità di chi combatté dall'altra parte, la necessità umana di Cesare Pavese di «giustificare il sangue sparso». Alla svolta antifascista ha lasciato il maestro solo verso i suoi lidi futuristi.  Elena è stata fotografata al cimitero di Valdobbiadene durante una commemorazione della Decima Mas (vedi foto), ha detto che «sotto le bandiere dell'antifascismo sono morti Marco Biagi e Sergio D'Antona», ha sostenuto che «il 25 aprile deve essere una festa di riconciliazione per tutti i combattenti che si affrontarono lealmente, chi in nome della libertà, chi in nome dell'onore dell'Italia».  Ama la Decima, l'invitta massacratrice di partigiani, unica formazione Rsi che i tedeschi rispettavano, che non abbandonò le armi per offrirle agli alleati a tempo scaduto contro il comune nemico comunista. Sarà fascista? Certo, ma è anche moderna.  Con tanto dire e tanto fare Elena entra alla grande nell'infinito dibattito italiano sul passato che non passa e ne fa il punto: la sinistra oggi ti perdona tutto - dice - puoi essere animista, panteista, vegetariano, vedico e anche vampirista, ma mai ti perdonerà di non essere antifascista. E tutto ciò «per non indebolire la provvidenziale equazione di antifascismo uguale a comunismo, salvifica per i comunisti e i post comunisti che con quella coperta hanno nascosto le loro vergogne, comunisti totalitari ma antifascisti, quindi perdonabili. Non si mettono sullo stesso piano le due grandi falciatrici, perché il comunismo era animato di buone intenzioni, mentre l'altro, il nazismo, era deliberatamente assassino. Ecco che sul comunismo e i suoi eredi arrivò caldo e confortante l'alibi dell'antifascismo. Sterminare la classe proprietaria non era la stessa cosa che sterminare la razza ebraica. Lo pensano ancora così, per questo non tollerano che io non sia antifascista».

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