Atenei, pochi soldi e tanti precari: scatta lo sciopero dei ricercatori

Lunedì 12 maggio a Padova un corteo, a Venezia e Verona assemblee. Sindacati e collettivi insieme contro i tagli del governo: «La nostra vita non può restare sospesa tra paghe basse e contratti in scadenza»

Sabrina Tomè
Una manifestazione contro il precariato davanti all'Università di Padova (foto Bianchi)
Una manifestazione contro il precariato davanti all'Università di Padova (foto Bianchi)

«Ciao, sono Andre e aderirò allo sciopero del 12 maggio perché la mia vita non può restare sospesa tra paghe basse e contratti a scadenza». Andre è un nome in un post, uno di quelli per la chiamata allo sciopero. Ma Andre sono anche i 30 mila ricercatori universitari interessati dalla mobilitazione di oggi, 12 maggio, in Italia e in tutte le città universitarie del Veneto.

Sono i giovani studiosi degli Atenei, il vivaio e le avanguardie del patrimonio intellettuale e scientifico del Paese. Che, se fosse un Paese normale, li riempirebbe d’oro e di prospettive di lavoro. E invece. Invece il compenso di un dottorando si ferma a 1.200 euro, per salire a 1.400 con l’assegno di ricerca fino a raggiungere, se e quando va benissimo, i 2 mila euro per un ricercatore a tempo determinato.

Uno dice: è la gavetta, si stringono i denti, si fanno sacrifici, che poi arrivano tempi migliori. Ma, anche qui, invece no. Perché la precarietà, quando non si trasforma in espulsione, rischia di diventare definitiva.

Le cause? Da un lato il taglio ai fondi universitari, che nel Nordest pesa 12 milioni di euro, dall’altro la riforma dell’Università firmata Bernini che introduce nuove forme di precariato. Questo, perlomeno, contestano sindacati e collettivi che hanno convocato per oggi, 12 maggio, il primo sciopero dei precari dell’Università (oltre ai ricercatori, anche il personale tecnico-amministrativo).

La mobilitazione è sostenuta da diverse sigle: Flc Cgil, Adi (associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani), Clap, Adl-Cobas, Cobas, Cub, Usb e Usi, Collettivo Corda.

A Padova un corteo partirà alle 11 dal Portello e arriverà in piazza Capitaniato con pranzo sociale; a Venezia alle 10 ci saranno un presidio nel cortile di Ca’ Foscari e alle 19 una tavola rotonda sul tema; a Verona le iniziative coprono tutta la giornata dal presidio in rettorato alle 10, fino all’assemblea delle 17.

Una mobilitazione, spiegano gli organizzatori, contro «le attuali politiche universitarie del governo, la scarsità e i tagli delle risorse, la moltiplicazione della precarietà e il riarmo, per un piano di allargamento degli organici e stabilizzazione del precariato».

«Alla base di tutto c’è il definanziamento alle Università deciso con la legge di bilancio del dicembre scorso», spiegano i rappresentanti di Corda Padova. E se il Bo non ha conosciuto sforbiciate, non è andata altrettanto bene ai restanti atenei veneti: Verona ha dovuto fare i conti con mancati introiti per oltre 3,5 milioni di euro; 3 milioni in meno per Ca’Foscari e un taglio di quasi un milione di euro allo Iuav; 3 milioni in meno anche a Trieste e 1,5 milioni a Udine.

A queste cifre si sono poi aggiunte quelle delle risorse attese e non erogate, portando il conto totale a 16 milioni di euro.

«Ma il definanziamento non è cosa dell’ultimo anno, è in corso da un decennio come negli altri servizi pubblici», proseguono i ricercatori di Corda, «Basta un dato: alla ricerca viene destinato l’1% del Pil. La situazione era un po’ migliorata con Draghi e il Pnrr, ma ora quei soldi sono finiti e non sono previsti fondi per stabilizzare i precari».

Precari sono sia i ricercatori a tempo determinato del vecchio ordinamento che gli assegnisti. «A livello nazionale la percentuale di personale precario nelle Università raggiunge il 45%, numeri importanti», fa notare Corda.

La preoccupazione ora è per l’emendamento al decreto legge 45 dello scorso aprile, relativo all’attivazione dei fondi europei e che potenzia - contestano - la precarietà introducendone nuove tipologie. Insomma, i soldi diminuiscono, i precari crescono e anche il volto dell’Università è destinato a cambiare perché essa dovrà contare maggiormente sul sostegno dei privati. «Gli Atenei diventeranno sempre più dipendenti da privati che naturalmente investono in percorsi di ricerca più redditizi, legati a specifici settori, col rischio di cancellazione di interi ambiti di ricerca», rilevano .

Sottolinea Tiziano Bresolin di Flc Cgil: «Questo sciopero, a differenza di altri, riguarda direttamente i precari. Dopo anni si era arrivati a definire dentro le università contratti che garantivano i diritti. Ma la cosa non sta decollando e per diversi motivi, a cominciare dal taglio di fondi. Da un lato le spese folli per il riarmo e dall’altro, appunta, l’Università che viene lasciata indietro. Costi, questi, che verranno pagati anche dagli studenti, si pensi per esempio alle borse di studio. E poi non ci si sorprenda per i dati Ocse in base ai quali siamo all’ultimo posto per numero di laureati nella fascia di età tra i 25 e i 35 anni».

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