Un’operaia-deputata per rifondare il Sin.pa

ROVIGO. Da “perseguitata politica”, nella Lega di Rovigo dominata dai bossiani, a candidata alla successione di Rosy Mauro, la cerchista a capo del Sin.pa espulsa con disonore. Obiettivo: rifondare il sindacato padano trasformando un paravento di affari chiacchierati nello scudo dei lavoratori nordisti. Roberto Maroni ha scelto lei, Emanuela Munerato di Lendinara, l'unica parlamentare-operaio della Repubblica, che alla notizia sorride e si schermisce: «Cosa posso dire? Ne abbiamo parlato, sì, ma la decisione non spetta me, io sono entrata in fabbrica a quindici anni e adesso metto a disposizione esperienza e voglia di fare. Non ho ambizioni particolari però mi piacerebbe che i lavoratori trovassero nel sindacato della Lega un difensore vero, un amico affidabile».
Maroniana da sempre, ne ha passate di tutti i colori dentro la federazione polesana retta dal burbero Antonello Contiero, un fedelissimo del Senatur avvezzo a reprimere il dissenso a colpi di espulsioni: suo marito, Matteo Ferrari, è stato cacciato dal partito per «intelligenza col nemico» (aveva osato discutere le questioni interne con un giornalista), lei è stata minacciata a più riprese di fare la stessa fine... «Beh, acqua passata, adesso si respira finalmente un vento di cambiamento, certo i metodi autoritari non hanno favorito la crescita del nostro consenso, anzi... ».
A evitarle la scomunica, oltre all'ala protettiva di Bobo e di Flavio Tosi (il suo beniamino) anche la notorietà conquistata il 16 dicembre scorso, quando annunciò il voto di sfiducia alla manovra Monti vestendo la tuta arancione della «sua» fabbrica, la Confidi tessile, dove ha lavorato fino al 2008 (ora è in aspettativa) ed è stata delegata sindacale nelle fila Cgil.
A Montecitorio iniziò l'intervento in tono pacato quanto tagliente - «Signor presidente, ho deciso di indossare gli abiti di lavoro perché forse lei, alla Bocconi o nelle banche, di operai non ha occasione di vederne tanti... » - strappando infine un applauso di simpatia non limitato ai banchi leghisti. «Sì, mi chiamarono in tanti», ricorda «e tutti chiedevano di dare rappresentanza alla presenza operaia nel partito, che in molte zone del Veneto è massiccia, lamentando l'inconsistenza del Sin.pa». E lei? «Io chiamai Rosy Mauro, per tre volte, cercando di sensibilizzarla e mettendomi a disposizione. Lei disse “sì, sì, stai tranquilla, qualcosa faremo». Ma non fece nulla».C'è spazio, nella Lega terremotata dalle inchieste e bastonata dagli elettori, per un sindacato capace di rigenerarsi in soggetto credibile? «Io penso di sì, soprattutto perché i confederali, così agguerriti durante il Governo Berlusconi, sono diventati improvvisamente remissivi davanti alla politica di Monti che sta impoverendo il Paese e colpisce soprattutto il reddito dei ceti popolari. Mi sa che si sono romanizzati, entrando nella logica del Palazzo e allontandosi dalla gente».
Se diventerà la pasionaria del Sin.pa, quale sarà il suo primo atto? «Tuffarmi a capofitto nel lavoro, girare le fabbriche e riprendere il contatto con gli operai. E' il mondo che conosco di più e dobbiamo riconquistare la loro fiducia».
L'investitura, da far tremar le vene e i polsi in tempi di recessione che aggredisce senza pietà famiglie e imprese, è previsto per la fine di giugno, all'indomani del congresso che dovrebbe sancire la successione del Barbaro sognante a Bossi e l'avvento della squadra maroniana nei gangli vitali del leghismo. Ce la farete? «Non lo so, ma ce la metteremo tutta. Siamo gente del popolo noi, abituati a rimboccarci le maniche, mica barboncini da salotto».
Filippo Tosatto
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