Vito, “u picciriddu” trapiantato a Mestre

MESTRE. Vito “u Picciriddu” oggi ha 41 anni ma, in fondo, aveva il destino segnato sin da bambino. Sin da quando giocava in quel giardino alla fine di vicolo Pipitone rimasto integro pur essendo nella zona più abitata di Palermo, L’Acquasanta, dove c’era e c’è “lo scannatoio”, cioè il luogo dove venivano torturati e uccisi coloro che la “cupola” di cosa nostra decideva di eliminare. Lo aveva fatto costruire il nonno Gaetano, detto “Tanu Alati”, il boss dei boss che aveva preso il controllo dei cantieri navali. Cantieri che da vicolo Pipitone lui poteva controllare dalla finestra. E il posto è rimasto ancora oggi. Poi i due bambini sono cresciuti e la famiglia li ha svezzati: Giovanna doveva lavare i vestiti macchiati di sangue dei killer e Vito venne mandato a imparare a comandare, scegliendo gli addetti alle rapine. “Tanu Alati” venne ucciso nel 1955, il papà Vincenzo, l’uomo che decise e organizzò l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro, finì in carcere a vita e Vito, trentenne, si ritrovò a gestire gli affari di famiglia. Per uscire dalla morsa delle indagini palermitane la famiglia decise di diversificare gli affari anche negli altri cantieri e scelse quelli del nord. In particolare Porto Marghera, dove due società di Giuseppe Corradengo, l’uomo alla cui figlia Vito Galatolo ha fatto da padrino, hanno fatto man bassa degli appalti dei lavori di coibentazione con la "Nuova Navalcoibent srl” e la “Eurocoibenti”. Ma la procura passa all’azione. Sbatte Vito in carcere, da cui esce nel 2012 quando viene sottoposto a sorveglianza speciale. Lui arriva a Mestre con la moglie e i tre figli. A 39 anni trova casa in via San Pio X e cerca un lavoro e viene subito assunto come “meccanico specializzato” da una delle società di Otello Novello, il “Cocco cinese” già finito in storie con Felice Maniero e la mafia veneta e ora in grado di gestire due società di trasporto su motoscafi operative dal Tronchetto. Cioè il posto da cui si controllano Venezia e i cantieri di Porto Marghera. In poco tempo arrivano a Mestre da Palermo due gruppi di fuoco, un cordone protettivo per il boss, che lui fa fruttare organizzando rapine. Galatolo viene sottoposto a intercettazione e gli investigatori si accorgono che riesce a ricevere i “pizzini” da Palermo in cassette di pesce. Lo arrestano il 23 giugno 2014 con l’operazione “Apocalisse”, fatta grazie anche alle dichiarazioni della sorella Giovanna che, dopo aver lavato troppo sangue, si era decisa a parlare. Vito, che prima di essere arrestato pensava di fare uccidere la sorella, ora si “pente” anche lui. E parla. Svela particolari dell’attentato al magistrato Di Matteo, quello che gestisce l’inchiesta sulla trattativa Stato - Mafia. E su cui proprio ieri ha svelato tanti particolari, parlando ancora di tritolo e di pizzini.
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova