Zaia la spunta: primo sì al voto di fiducia

VENEZIA. La volontà di Luca Zaia è legge, almeno per l’armata leghista e i satelliti che la spalleggiano in Consiglio regionale.
Così, a dispetto di strepiti e invettive contro la “nascente dittatura”, in serata l’assemblea del Veneto ha approvato in prima lettura (il secondo, scontato e definitivo sì è previsto tra sei mesi) la modifica statutaria che, sul modello del parlamento romano, introduce il voto di fiducia.
Che significa? In presenza di provvedimenti giudicati “strategici e urgenti” - bilancio e collegati, adempimenti nazionali e comunitari, imposte e tributi, e più in generale «materie particolarmente rilevanti per la collettività regionale» - l’esecutivo potrà “tagliare” i tempi di discussione richiedendo ai consiglieri un voto fiduciario, palese e a maggioranza semplice: il sì garantirà l’approvazione in tempi brevi, la bocciatura si tradurrà nelle dimissioni di governatore e Giunta, con decadenza del Consiglio ed elezioni regionali anticipate.
Più che una mordacchia all’opposizione - già “addomesticata” da regolamenti stringenti e tempi contingentati - la novità sembra un antidoto efficace alle tentazioni di fronda nella maggioranza.
Tant’è: «Lo statuto prevede già il ricorso alla sfiducia, equità vuole che sia consentito anche il voto di fiducia, d’altronde molte regioni, non certo leghiste, l’hanno adottato da tempo», il commento zaiano.
In aula la bontà della riforma è stata illustrata con zelo dal relatore Luciano Sandonà ma la seduta è stata preceduta da una confusa trattativa sotterranea.
A fronte del ritiro dei 116 emendamenti presentati, parte dell’opposizione ha chiesto “garanzie” consistenti nella presidenza di tre commissioni mentre il M5S, per voce di Jacopo Berti, ha alzato il tiro rivendicando tout court la presidenza del consiglio.
La circostanza ha creato scompiglio e divisioni, con il leghista Nicola Finco lesto a punzecchiare: «Vari esponenti dell’opposizione hanno preso pubblicamente le distanze e misconosciuto il documento emendativo che mi era stato recapitato, oggi la minoranza ha rimediato un’autentica figuraccia».
Certo è che il gruppo del Pd ha abbandonato l’aula al momento del voto: «Non era possibile mettere delle toppe a un vestito così sbrindellato, la nostra manovra emendativa entrava nel merito, invece è prevalso un gesto di arroganza e di assoluta insignificanza politica che è spacciato come una questione di fiducia ma servirà solo a regolare qualche conto nella maggioranza», le parole di Stefano Fracasso.
«Un atto palesemente incostituzionale, ricorrerò a tutti gli strumenti, incluso il referendum, per contrastare la nascita di una monarchia assoluta in Veneto», rincara Piero Ruzzante (Mdp-Art.1). Fuori dall’emiciclo anche i 5 Stelle («Una farsa», attacca Manuel Brusco); “non votante” Marino Zorzato di Ap, astenuti Pietro Dalla Libera (Veneto Civico) e Stefano Casali (Nuovo centrodestra). E buonanotte ai suonatori.
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