Zonin: «Licenziai Sorato per le operazioni baciate»

L’ex presidente ai pm sul valore delle azioni: volevamo proteggere i soci
DeMarchi Castelfranco filiale Banca Popolare Di Vicenza protesta risparmiatori
DeMarchi Castelfranco filiale Banca Popolare Di Vicenza protesta risparmiatori
VICENZA. C’è una verità nota e incontrovertibile: il tracollo della Banca Popolare di Vicenza con drammatiche conseguenze per i risparmiatori veneti. Poi, su come si è arrivati al dissesto, le verità si motiplicano. C’è quella della Procura di Vicenza che ha accusato gli ex vertici dell’istituto dei reati di aggiotaggio, falso e ostacolo all’attività di vigilanza: in sostanza di aver trascinato Bpvi nel baratro per effetto di una grave malagestio. E poi ci sono quelle degli indagati, divergenti su tutto tranne sul fatto che le responsabilità non sono le loro. Né sulle baciate, né sulle lettere di impegno e tantomeno sul valore delle azioni. Molti risparmiatori hanno investito, o mantenuto l’investimento in Bpvi, perché tratti in inganno dai valori (fasulli) dei titoli. Di chi è la responsabilità della sovrastima? Su questo aspetto si soffermano i consulenti tecnici della Procura nella corposa relazione depositata lo scorso 29 giugno e i pm Gianni Pipeschi e Luigi Salvadori negli interrogatori all’ex presidente Gianni Zonin del 22 e 24 marzo.


Il valore delle azioni e la protezione dei soci.
Nel corso degli anni, precisa il Cavaliere, il valore dell’azione Bpvi è aumentato in modo corrispondente all’entità degli utili realizzati anno per anno dalla Banca, utili che sono cresciuti per entità. Esso veniva inizialmente determinato da un dirigente dell’istituto (con tre metodi: patrimoniale, reddituale e in base ai prezzi ordinari di Borsa), mentre successivamente - su indicazione della Banca d’Italia - è stato affidato a un esterno, al professor Bini di Milano. «È stata la direzione in persona di Sorato a proporre al Cda il prof Bini», spiega Zonin agli inquirenti secondo quanto emerge dai verbali di interrogatorio redatti in maniera riassuntiva dalla Procura, «I miei rapporti e contatti con lui si sono limitati nel corso degli anni alle occasioni in cui lo stesso veniva a illustrare il valore delle azioni in Cda. Proprio per rispetto di Bini, quale esperto indipendente, ho ritenuto che fosse opportuno non avere rapporti con lui». Era Sorato, sostiene Zonin, ad anticipargli alcuni giorni prima della riunione del board, i valori stimati da Bini, poi riferiti al Cda:«Era certamente nota al Consiglio e ai suoi membri la rilevanza strategica del valore dell’azione e degli effetti di una sua diminuzione», sostiene Zonin che tiene a precisare come, «Il consiglio era composto da persone oneste e valide sotto il profilo professionale e delle competenze». Quindi, entrando in merito alla quotazione: «Nel corso degli anni, in considerazione delle mire di acquisizione da parte di altre banche (Mps, Popolare Verona, Popolare Milano ed altre estere), nella fase della valutazione interna, il Cda tendeva a preferire, tra i valori della forchetta proposta, l’estremo più alto proprio per scongiurare eventuali acquisizioni da parte di terzi. Successivamente la strategia del Cda è stata quella di protezione del socio, nel senso che il Cda cercava di tranquillizzare il socio con scelte di buon senso». I pm incalzano Zonin su questo aspetto, gli chiedono di precisare in cosa sia consistita esattamente la strategia di “protezione del socio”: «La Banca è stata gestita con prudenza e buon senso», la replica del Cavaliere, «Per effetto di questa gestione siamo riusciti a distribuire utili e abbiamo anche fatto acquisizioni per ingrandire la Banca». Nel 2015 il meccanismo però si inceppa: «Sorato ha proposto di rimandare la valutazione dell’azione Bpvi confermando quella di 62,5 vigente per il 2014, adducendo a motivo di ciò l’entrata in vigore della riforma legislativa che imponeva la trasformazione in spa della Banca. L’espressione utilizzata da Sorato era quella di “congelare” il valore dell’azione. A tale proposito ha acquisito anche dei pareri legali da alcuni Studi». In questo contesto, sempre secondo la ricostruzione di Zonin, Sorato avrebbe fatto presente che il valore dell’azione per il 2015 sarebbe stato più basso rispetto all’anno precedente. «La mia risposta è stata contraria in quanto ritenevo che fosse contrario allo statuto sociale». Quanto alle perdite del bilancio al 31 dicembre 2014, esse «erano causate dagli accan
tonamenti sui crediti richiesti da Bce che ha imposto il passaggio dal 32% a quello dei benchmark, pari al 43%. Si trattava cioè di perdite determinate non dalla gestione, ma da questi accantonamenti richiesti dalla vigilanza».


La svalutazione degli avviamenti.
I pm insistono,vogliono saperne di più sull’ammontare degli avviamenti iscritti in bilancio rispetto alla valutazione dell’azione Bpvi. «Con il senno di poi riconosco che ci siamo presi un po’ indietro sulla svalutazione degli avviamenti iscritti in bilancio», ammette Zonin, «Tuttavia la preoccupazione era quella di evitare una diminuzione del valore dell’azione, diminuzione che invece si sarebbe realizzata se la Banca avesse operato una sostanziale svalutazione degli avviamenti di bilancio».


Le cene con i soci.
Zonin sottolinea il concetto di protezione dei soci e i pm vogliono capire meglio i rapporti con gli azionisti. L’ex presidente di Bpvi spiega che il 90% dei soci era formato dai piccoli, c’erano poi una decina di “grandi soci” tra cui anche la sua famiglia. «Nel corso del tempo, 2-3 volte all’anno e più di recente in modo meno frequente, partecipavo alle cene con la presenza di clienti, a richiesta dei capo area. In occasione di ogni seduta del Consiglio, la Banca invitava delle persone alla colazione che precedeva la seduta stessa: tra gli invitati anche ufficiali della Guardia di Finanza, dei carabinieri e il questore».


Le responsabilità e il divorzio Zonin-Sorato.
La Procura contesta agli ex vertici le pratiche delle operazioni “baciate” e delle lettere di impegno. Modalità dalle quali ciascuno dei due prende le distanze. Anzi, Zonin dice di aver invitato Sorato a lasciare l’incarico dopo aver scoperto tali attività, informato dagli ispettori Bce. È il 7 maggio 2015: «In questo colloquio Sorato non ha parlato; l’unica cosa che ha chiesto dopo che gli avevo manifestato la mia intenzione di interrompere il rapporto è stato “adesso io che lavoro faccio?” Sorato non ha fornito giustificazioni in ordine a questa operatività (i fondi baciati) e non ha assunto esplicitamente la responsabilità della stessa. Il colloquio è terminato con la disponibilità di Sorato a lasciare ogni incarico. Mi ha detto “faccio quello che lei mi consiglia, in quanto ho sempre fatto quello che lei mi ha consigliato”. Al che gli ho consigliato di dare le dimissioni in quanto era meno traumatico per la Banca rispetto a un licenziamento». Diversa la ricostruzione che Samuele Sorato fa davanti ai pm nell’interrogatorio dello scorso 6 aprile. L’ex dg, rispondendo alle domande sulle lettere di impegno da parte dell’istituto, rispetto alle quali esclude qualsiasi responsabilità spiegando di averle scoperte a sua volta dagli ispettori, precisa «che era impossibile fare una cosa all’insaputa di Zonin, era un mio modus operandi informare il presidente di ogni attività della Banca e anche sui rapporti e incontri che avevo con terze persone attinenti all’attività di Bpvi». Ed ecco come ricostruisce l’allontanamento del 7 maggio: «Il presidente mi ha chiesto di lasciare la Banca per il bene dell’istituto e che era venuta meno la fiducia nei miei confronti. Mi ha fatto capire che in seguito avrebbero lasciato la Banca anche Piazzetta e Giustini e altri dirigenti oltre che lui stesso. Ho percepito che sull’atteggiamento di Zonin avevano inciso in modo rilevante le posizioni da me assunte negli ultimi tempi a seguito della mia nomina come ad. Con il senno di poi sarei dovuto rimanere in Banca per avere la possibilità di interloquire con le Autorità di Vigilanza e portare avanti una dialettica corretta con il presidente Zonin e il Cda».


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