1943, l'orrore passa per Padova: «Sentivo le urla dal treno dei deportati»

PADOVA. Walter Chillin, oggi gentile nonno di 90 anni, è un breve ma commovente tratto dell’inchiostro con cui il 19 novembre 1943 fu scritta, nella stazione padovana, una drammatica giornata della Shoah.
Quella mattina 1023 ebrei prigionieri, stipati in un treno merci, fermarono al primo binario. Walter aveva 19 anni e, insieme agli altri ferrovieri, sentì urlare e piangere: «È un giorno che non voglio ricordare perché è ancora una ferita aperta», rivela, commosso dopo 70 anni. «Avevo 19 anni, quel giorno mi era toccato il turno 13-20 e dovevo seguire proprio la marcia del treno tedesco, considerato maledettamente importante per i nazisti. Quando le ferraglie hanno smesso di fischiare abbiamo sentito delle urla provenire dall’interno: c’erano donne e bambini. Non potevamo credere ai nostri occhi: pensavamo ci fossero prigionieri di guerra catturati al fronte, mai avrei pensato a bambini anche molto piccoli con le mamme. Alcuni erano pietrificati, altri piangevano, altri ancora urlavano. I più ci supplicavano di dargli un goccio d’acqua, non tanto da mangiare. Quel giorno ho visto in faccia una verità così dura da non riuscire mai più a dimenticare».
Walter e gli altri ferrovieri furono allontanati dai tedeschi, pistole automatiche e molto convincenti in pugno, ma non hanno desistito: nel cuore il bisogno impellente di alleviare la sofferenza di quella gente. «Non c’era da fare gli eroi», continua Walter, «con i tedeschi non si scherzava. Allora abbiamo escogitato di portare il convoglio allo scalo per cercare di guadagnare tempo, dicendo che era necessaria una revisione alla locomotiva. Siamo riusciti così ad avvicinare alcune di quelle persone e, a turno, abbiamo portato acqua e quel poco che riuscivamo a procurare di cibo, ma eravamo una goccia in mezzo al male». Alla sera il treno è ripartito verso Trieste, direzione campo di concentramento di Auschwitz. Degli ebrei sul treno fermato a Padova, ne sono tornati solo 16.
La storia raccontata da Walter, con gli occhi umidi e la voce rotta dalle lacrime, ha commosso i partecipanti alla cerimonia con la quale ieri mattina è stata scoperta una lapide che ricorda il gesto di umana pietà dei ferrovieri in servizio alla stazione di Padova il 19 ottobre del 1943 assieme ad alcune crocerossine. Su quel treno erano stipati oltre mille ebrei deportati dal Ghetto di Roma. Ieri erano presenti anche Roberto Zanovello, consigliere comunale e sindaco di Vigodarzere; Riccardo Pacifici, presidente Comunità ebraica di Roma; Davide Romanin Jacur, presidente Comunità ebraica di Padova; Adolfo Locci, rabbino capo cittadino e il sindaco reggente Ivo Rossi con l’assessore alle Politiche scolastiche Claudio Piron. I ricordi personali dei protagonisti della commemorazione hanno finito per intrecciarsi tra sentimenti e storia: «Su quel treno», confida il rabbino Locci, «c’era la sorella di mio suocero», mentre Pacifici condivide con Padova il ricordo di suo padre curato ad Abano da un «amorevole» medico padovano. Ieri si è «santificata la vita» grazie alle piccole ma giuste azioni dei giusti.
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