Addio a Luciano Vincenzoni script doctor di un’epoca

(ROMA
È morto nella notte tra sabato e ieri, a Roma, Luciano Vincenzoni, grande sceneggiatore, trevigiano di nascita, autore dei soggetti di alcuni dei film più importanti del cinema italiano. Aveva 87 anni.
Pochi esponenti del cinema italiano hanno avuto onore e gloria quanto lui oltre oceano, in quella Hollywood che per molti anni lo adottò, offrendogli l’onore di renderlo membro onorario del potentissimo sindacato americano degli scrittori. E pochi sceneggiatori italiani hanno saputo come lui distillare l’originalità delle idee, la precisione dell’osservazione, la fantasia visionaria fino a mettere a segno quasi tutte le sue idee narrative trasformandole in film che hanno fatto la storia: “Il ferroviere”, “Sedotta e abbandonata” di Pietro Germi, “Per qualche dollaro in più” e “Il buono il brutto il cattivo” di Sergio Leone, “Il gobbo” e “La vita agra” di Carlo Lizzani, fino a “Malena” di Giuseppe Tornatore.
Vincenzoni amava lavorare in gruppo, si ascriveva soprattutto il merito delle idee, si consacrava anima e corpo a una fantasia galoppante che spesso mal sopportava le lungaggini del sistema-cinema, tanto da farsi la nomea di un cattivo carattere, punteggiato da epiche risse con personaggi del calibro di Germi, Leone, De Laurentiis, mentre in verità era un uomo buono e schietto.
«È vero» diceva «sono un impaziente perché non sopporto la stupidità e le perdite di tempo. Ho un cervello prensile e sintetico. Forse sono solo un nevrotico e se avessi preso qualche pillola in più avrei vissuto meglio ma inventato di meno». Sul suo tavolo resta oggi, tra tanti incompiuti, il progetto di un film a quattro mani scritto con il conterraneo Rodolfo Sonego. «È una commedia, dovevamo produrlo insieme, ma poi lui se n’è andato e resta qui a prender polvere questa bella storia che ci ha molto divertito».
Luciano Vincenzoni aveva studiato legge. Dopo i primi anni a Padova, ammalato di cinema, aveva avuto l’aiuto di due amici di famiglia per trasferirsi a Roma e iscriversi all’università. Ma ben presto gli incontri con i «cervelli» della cultura italiana del dopoguerra (da Parise a Flaiano, da Germi a Fabrizi) lo avevano portato dalle parti di Cinecittà. Fece i primi soldi vendendo il soggetto di “Hanno rubato un tram” ad Aldo Fabrizi nel 1954 che poi affidò la sceneggiatura ad Alfredo Giannetti. E fu costui a proporlo a Pietro Germi cui Vincenzoni portò in dote la storia di “Il ferroviere”.
Era l’inizio di un sodalizio fortunato, punteggiato da rotture e riappacificazioni: dopo la più importante litigata i due divennero addirittura soci per mettere in cantiere il progetto di «Signore & Signori». Nel frattempo però Vincenzoni si era costruito una solida fama di professionista scrupoloso, molto apprezzata da Dino De Laurentiis che lo mise sotto contratto in esclusiva per quattro anni ed ebbe in cambio, tra l'altro, la storia originale di “La grande guerra”. Il sodalizio inoltre gli spalancò le porte degli studios americani.
Qui Luciano, ribattezzato “script doctor”, mise radici e cominciò ad avere la fiducia dei capi della United Artists. Anche grazie a quelle amicizie convinse lo Studio a distribuire in America “Per qualche dollaro in più” (a cui lavorava con Age&Scarpelli).
Ed è proprio dall’esperienza della “Grande guerra”, riscritta in chiave americana per un soggetto dal titolo “Due magnifici straccioni” che nacque il copione di “Il buono il brutto il cattivo”, un titolo di cui Vincenzoni ebbe il copyright e che lo fece milionario.
In seguito, a cavallo tra Hollywood e Cinecittà, ha lavorato con moltissimi registi, con una speciale predilezione per Carlo Lizzani e Giuliano Montaldo. Firmò commedie (“Piedone lo sbirro”, “Casablanca Casablanca”, “Il conte Tacchia”) drammi storici (“I paladini”), tragedie realiste come lo sfortunato “La cuccagna” di Luciano Salce e il molto autobiografico “Libera amore mio” di Bolognini), film d’avanguardia come “Un tranquillo posto in campagna” di Elio Petri.
È stato un protagonista del miglior cinema italiano dopo il neorealismo, ma mai per una volta cedette alla tentazione di passare dietro la macchina da presa. «Me lo hanno proposto un paio di volte con insistenza, anche gli americani ai tempi di “Giù la testa” e in seguito» raccontava. «Ma per fare il regista bisogna essere soprattutto pazienti. E io manderei tutti a quel paese dopo un solo giorno».
Tra i suoi estimatori c’è Quentin Tarantino, ma lo sceneggiatore non aveva voluto approfondire: «non so se dopo aver fatto un western ha voglia di farne un altro e non sono sicuro di avere nel cassetto una storia buona per lui».
La storia della sua vita, Luciano Vincenzoni l’ha raccontata in un libro autobiografico, “Pane e cinema”, uscito nel 2005.
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