Angiola Maria Sacchetto, diventano versi le visioni mistiche della poetessa miracolata
Sicuramente «Nostra Diletta Poetessa Maria Angiola Sacchetto in Boscaro Degli Ambrosi», così come affettuosamente la chiama la Principessa di Piemonte nel 1942, sarebbe entrata a far parte della rilucente costellazione che compone l’universo immaginifico dei grandi scrittori epici, come Marquez o come l’Allende, solo per citare i più apprezzati e conosciuti. In questi romanzi troviamo, infatti, eventi surreali in cui personaggi, mistici e al contempo carnali, si muovono con grazia tra profezie e sciagure. Ci sono uomini e ci sono donne, beati loro, che vivono una vita da romanzo e altri che, come ci suggerisce Allende stessa, vivono in romanzi immaginati: «I nostri pensieri danno forma a ciò che noi supponiamo sia la realtà». Parlare di questa poetessa, fino ad ora misconosciuta e non ancora pubblicata, al cinquantesimo della sua morte appena celebrato lo scorso 17 dicembre, significa necessariamente parlare dell’ultimo dei suoi figli, Pier Francesco Boscaro, il quale rifonda la memoria della madre mescolando alle poesie materne - rabberciate, ricostruite, trascritte, forse riscritte - la sua adorazione nei confronti del femminino materno. E ovviamente della scrittura, giacché ritrovando la Lingua Madre - attraverso la poesia – costui epicizza e storicizza l’umana vita di quella che fu sua madre, trasfigurandola e trascendendola in chiave mistico - misterica. In principio fu il miracolo: Angiola Maria Sacchetto porta nel grembo il figlio. Siamo nel 1945, nella Villa di Camin Ca’ Fausta, a Padova, dove vive e lavora ( ha un atelier di sartoria ). Sulla strada del Morto, che conduce a Ca’ Fausta, è sganciata una bomba. Muoiono due giovani e Maria Angiola viene completamente sepolta da un albero che le cade addosso. Eppure, l’albero ha una cavità dove s’incunea il corpo mortale della poetessa che sarà estratta da sotto, ancora viva. Il trauma le comporterà l’indebolimento del cuore nonché una serie di visioni mistiche tradotte, ad esempio, nella lirica del ’56 “Vivisezione”: «Come m’aspersero mi ficcarono in testa vicino al cervello un bulbo di dalia, una radice di giglio…». Il tema floreale pare caro alla nostra poetessa poiché anche in “Pasqua del ’47” appare: «Fin dentro l’anima del vento che mischia la gloria del parnaso col glicine violetto, il fior di pesco al profumo delle viole». L’alluvione del Piovego del ’66 distrusse gran parte dei componimenti poetici di Maria Angiola. Indistruttibile sembra piuttosto l’amore devozionale che il figlio nutre nei confronti di questa imago matris, che egli perse in tenerissima età. Difficile esprimersi usando come parametri stile poetico, significanza o autenticità. Anche perché, sposando la celebre frase che Almodovar fa recitare ad Agrado nel film Tutto su mia madre: «Perché una più è autentica quanto più somiglia all'idea che ha sognato di se stessa».
Barbara Codogno
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