Antonio Masiero entra nel Gotha della fisica

Eletto nella giunta esecutiva dell’Infn grazie ai successi dei laboratori di Legnaro
SALMASO - INTERVISTA MASIERO ANTONIO. stanco luca SALMASO - INTERVISTA MASIERO ANTONIO
SALMASO - INTERVISTA MASIERO ANTONIO. stanco luca SALMASO - INTERVISTA MASIERO ANTONIO

di Aldo Comello

Il professor Antonio Masiero entra nel Gotha della fisica ialiana: dopo aver fatto parte del team Opera, che ha portato alla clamorosa scoperta dei neutrini più veloci della luce, è stato eletto nella giunta esecutiva dell’Infn, l’istituto che con ilCern sta lavorando attorno a questo grande progetto.

Se i risultati ottenuti al Cern di Ginevra verranno confermati, si aprirà un pagina nuova per la fisica. Le premesse ci sono tutte e il ruolo del team padovano è stato senza dubbio decisivo: nei laboratori del Dipartimento di via Marzolo, sono statati costruiti gli spettometri per misurare la velocità dei neutrini. E non solo.

Il giorno dei «big bang» a Ginevra, tutto il Dipartimento di fisica e i ricercatori dell’Infn di Padova e Legnaro si sono collegati in diretta con il gruppo Opera a Ginevra ed hanno discusso i clamorosi risultati. Il dibattito è, quindi, più che mai aperto e va inquadrato nel giusto con testo storico.

Alla fine dell’Ottocento gli scienziati erano soddisfatti dei risultati raggiunti. C’era la convinzione che i principi fondamentali dell’Universo fossero sufficientemente noti, che le leggi della Fisica fossero immutabili, irreversibili, scolpite nella pietra come le tavole della Legge.

Poi Rontgen scopre dei raggi capaci di trapassare la carne, mentre Henry Becquerel si accorge che un frammento di uranio spara un quid che appanna le lastre fotografiche. Nel 1897, viene scoperto l’elettrone.

Nei primi decenni del secolo ventesimo si fa strada il genio di Albert Einstein che mette a soqquadro tutto ciò che sembrava assodato e apre l’orizzonte a nuovi misteri. I punti fermi della fisica tradizionale si sbriciolano.

Con la teoria della relatività nasce una nuova scienza all’insegna della complessità. Di meraviglia in meraviglia, entra in campo la tecnologia quantistica per cui a partire da una singola molecola è possibile costruire un computer di potenza inimmaginabile.

Dovremmo essere abituati ad un orizzonte in movimento, alla dinamica incalzante che connota lo sviluppo scientifico e tuttavia la scoperta che i neutrini viaggiano ad una velocità superiore a quella della luce è così importante, ha implicazioni talmente ridondanti che gli scienziati si sono fermati.

E’ convinzione generale che le misure, i calcoli, le verifiche siano state impeccabili; ma si chiedono ulteriori accertamenti perché la sicurezza sia assoluta. Il risultato della ricerca di Opera, il team internazionale che ha fatto deflagrare la bomba, ha diffuso una notizia piena di fascino innovativo e nello stesso tempo devastante perché fa saltare come birilli le convinzioni più profonde della fisica nucleare.

Infatti, se i neutrini, come Opera ha annunciato, fatti scorrere sotto la pelle della terra, dal Cern di Ginevra al Laboratorio del Gran Sasso, sono più veloci della luce (60 miliardesimi di secondo su una distanza di 732 chilometri), saltano per aria leggi come la relatività ristretta di Einstein, punto fermo di ogni avventura scientifica nel cuore della materia. La scoperta è frutto di serendipity, un’illuminazione sulla via dell’esperimento, non certo fortuita, ma capitata mentre si indagava su altro della vita complessa dei neutrini, entità elusive, sfuggenti, capaci di proteiformi mascheramenti.

Ne parliamo con Antonio Masiero, professore ordinario di Fisica, rappresentante di spicco del gruppo padovano che fa capo al team di Opera, di recente membro della nuova giunta direttiva dell’Infn. «E’ proprio il peso di questa scoperta - spiega all’inizio Masiero - che ha diviso la comunità scientifica: euforia, ma anche cautela infinita perché questa chiave apre un mondo nuovo. Costringe a riscrivere la relatività speciale, l’elettromagnetismo, la teoria delle interazioni deboli, tutto va a carte quarantotto; a una velocità superiore ai 300 mila chilometri al minuto secondo (il neutrino nel viaggio tra Ginevra e il Gran Sasso ha superato il fotone di circa 18 metri) spazio e tempo si fondono in un’unica dimensione. E, addirittura, gli effetti si verificano prima delle cause …».

Ma al di là di queste conseguenze - che al profano sembrano, e certamente non sono, un delirio fantascientifico - vi aspettate cambiamenti radicali?

«E’ proprio la portata innovativa della scoperta che induce alla prudenza e all’attesa di nuove verifiche. Dei trenta gruppi che hanno lavorato in Opera, quattro non hanno firmato l’annuncio optando per un atteggiamento d’attesa. E questo anche se le probabilità di errore sono minime».

Sono quantificabili?

«Direi, una su un miliardo».

Insomma, siamo ai limiti dell’impossibile? I neutrini incantano ma sembra che attorno a loro si sia sviluppato un alone di diffidenza.

«Nel 1930 W. Paul si occupa di neutrini per la prima volta – evidenzia Masiero - E li battezza neutralini. Ettore Majorana, prima di scomparire, ne studia la massa microscopica e ne sottolinea la straordinarietà: la massa di un neutrino è da 100 mila volte a un milione di volte inferiore a quella di un elettrone. Per ogni neutrino esiste un antineutrino. Bruno Pontecorvo in Russia si occupa delle vibrazioni dei neutrini che segnalano una metamorfosi. Lo scienziato americano Davis spese gran parte della sua vita di ricercatore a “contare” i neutrini che provenivano dal sole, una delle sorgenti più importanti di queste particelle, e si accorse che la quantità era molto minore di quanto ci si potesse aspettare. Davis cercava e conosceva i neutrini E, quelli dell’elettrone. Ora sappiamo che, nello spostamento, mutano di “calibro”. Si distinguono tre “sapori” a cui corrisponde una massa diversa: il neutrino E dell’elettrone, il neutrino Mu del muone e il neutrino Tau. Passano da una facies all’altra vibrando».

Ma qual è l’habitat dei neutrini?

«Sono dappertutto. Adesso, per esempio, lei non se ne accorge, ma 50 mila neutrini al secondo stanno trafiggendo il suo pollice».

Si dice che in tre anni siano stati sparati dal Cern 15 mila fasci di neutrini. E’ esatto?

«L’operazione è stata più complessa - nota Masiero - Dall’acceleratore del Cern sono stati proiettati, ad altissima velocità, una quantità di protoni corrispondente a 10 alla tredicesima, miliardi di particelle che sono andate a schiantarsi contro una superficie posta all’interno del tunnel…».

Quindi la ministra Maria Stella Gelmini aveva ragione: c’è un tunnel.

«Sì, ma non è lungo 732 chilometri. E’ piuttosto un tubo che va da un diametro di un metro e mezzo a due metri, è svasato all’estremità perché le particelle si aprono in una “rosa” come i pallini sparati da un fucile da caccia. Nello scontro con l’intercapedine, i protoni rimbalzano o si sminuzzano producendo uno sterminato esercito di neutrini che parte, direzione Gran Sasso, ad una velocità che dovrebbe essere superiore a quella della luce. Non tutti i neutrini arrivano a bersaglio, una certa quantità si disperde».

Abbiamo parlato di una probabilità di errore su un miliardo. Ma non c’è la possibilità che gli orologi posti uno alla partenza e l’altro all’arrivo abbiano segnato differenze, metti di un microsecondo o di un nanosecondo?

«No, si tratta di orologi atomici al cesio. La precisione è assoluta. E’ piuttosto la storia che ci induce alla cautela. – dice Masiero – Vede, la scoperta della relatività ristretta di Einstein è del 1905, ma ha avuto 18 anni di gestazione. C’è anche un discorso, una domanda che viene posta di continuo dai visitatori del Cern. Quando diciamo che l’accelerazione delle particelle arriva al 99,99 per cento della velocità della luce, ci chiedono perché non copriamo quella minima frazione temporale in più. La risposta li lascia perplessi perché per arrivare ai 300 mila chilometri al minuto secondo dovremmo impiegare una quantità infinita di energia. Spingersi oltre il limite muta completamente i parametri. E’ la linea sottile che separa il possibile dall’impossibile».

Ora, quindi, ci troviamo in una situazione d’impasse?

«Più che d’impasse parlerei d’attesa. Si è deciso di pubblicare la notizia su una delle riviste specializzate internazionali, tipo Nature o Science, che si servono di una commissione di referee anonimi per valutare la scoperta e che quindi garantiscono obiettività e consentono un ulteriore confronto. La scelta comunque non è ancora stata fatta».

Ma non c’è il pericolo che in questa fase riprendano gli esperimenti in Usa e in Giappone? La scoperta potrebbe esserci scippata?

«Direi di no. L’esperimento americano del 2007 “Minos” è molto simile al nostro. Fasci di neutrini furono “sparati” dal FermiLab di Chicago ad una miniera del Minnesota che si trova a 730 chilometri di distanza. Ma i risultati presentarono incertezze tali da sconsigliare la divulgazione. Ora dovranno ripartire da zero. Per quanto riguarda i giapponesi, il loro laboratorio è stato distrutto recentemente dallo tsunami. La ripresa dell’attività dovrà dunque essere rinviata».
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