Assassinò la moglie, primi permessi per uscire dal carcere per Cappuzzo

Nel 2006 il medico Gianluca Cappuzzo pianificò l’omicidio di Elena Fioroni, ora studia Legge ed è nel programma di reinserimento

PADOVA. Ha anestetizzato la moglie con l’etere, l’ha avvelenata con un miscuglio di benzodiazepine e infine ne ha simulato il suicidio tagliuzzandole i polsi. Era l’8 febbraio 2006 e la morte della trentaquattrenne Elena Fioroni scosse la città intera. Dieci anni dopo, nonostante una condanna a 26 anni, il marito Gianluca Cappuzzo ha ottenuto i primi permessi per uscire dal carcere. È successo già tre volte. Il medico ha potuto così rimanere accanto ai familiari, soprattutto all’anziana madre, nella sua abitazione di Ponte di Brenta.

Cappuzzo in questi anni ha avviato un percorso di recupero e anche questi permessi sono inseriti in un programma di reinserimento nella società. Collabora con la redazione di Ristretti Orizzonti e ha intrapreso il corso di studi in Giurisprudenza. Il suo avvocato, Giovanni Chiello, è riuscito a ottenere questi benefici anche in virtù della sua buona condotta in carcere. Fatto sta che dopo nemmeno dieci anni, nonostante un delitto studiato a tavolino, può già gustare alcune ore di libertà. Generalmente sono permessi di otto ore ma in un’occasione ha potuto anche dormire nella casa in cui è nato e cresciuto.

Gianluca Cappuzzo, all’epoca trentasettenne, medico specializzando nel reparto di Chirurgia dell’Azienda ospedaliera, uccise la moglie Elena nella sua villetta a Voltabarozzo, in via Pisani 5/a. Un omicidio agghiacciante e, secondo il pubblico ministero Orietta Canova, progettato e organizzato nei dettagli. Elena era stata anestetizzata con un tampone di etere, poi avvelenata con tre iniezioni intramuscolari di benzodiazepine (ansiolitico impiegato nella fase della pre anestesia) e di etilcarbammato (una sostanza cancerogena usata anche nei pesticidi). Infine il corpo era stato adagiato nella vasca da bagno. Le aveva tagliato i polsi e poi aveva spedito anche due sms dal suo telefono: una messinscena per simulare un suicidio. Simulazione scoperta nel giro di poche ore dal capo della Squadra mobile Marco Calì. Cappuzzo era accusato di omicidio aggravato dal rapporto di parentela, dall’uso di sostanze venefiche e dalla premeditazione. È stato condannato in primo grado a 26 anni di carcere, pena confermata in Cassazione nel 2011.

Tuttavia Gianluca Cappuzzo in carcere non si è arreso. Ha alzato la testa e, fin da subito, ha iniziato un percorso. Inizialmente ha prestato servizio nel call center che raccoglieva le chiamate per l’Usl 16 e l’Azienda ospedaliera. Poi si è legato a Ristretti Orizzonti e ora fa parte a pieno titolo della redazione.

«È uno dei più attivi» conferma Ornella Favero. «Ha partecipato al progetto che abbiamo imbastito per incontrare le scolaresche ma anche al seminario annuale per giornalisti. Contemporaneamente porta avanti gli studi in Giurisprudenza, pure con buoni risultati». Tutto questo contesto di impegno sociale ha influito nella decisione del Tribunale di Sorveglianza di accordare i permessi, nonostante non sia arrivato ancora a metà pena.

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