Le associazioni motore dell’Arcella: «Qui la buona volontà è un faro»

Viaggio nei quartieri di Padova. Le mille facce del rione, la solidarietà è tra i segreti: «Per molti chiedere aiuto è uno choc»

Gianni Belloni
Nonni vigile all'Arcella
Nonni vigile all'Arcella

All’ombra di ogni campanile opera discretamente un gruppo di volontari impegnati nel contrastare le diseguaglianze crescenti.

È così anche alla Santissima Trinità, a due passi da via Annibale da Bassano. Nel grande spazio del patronato chiacchieriamo con Vittorio Aneloni e Ada Libanori.

Tra poco devono andare a fare la spesa: il giorno dopo è prevista la distribuzione degli alimenti, uno dei servizi forniti dal gruppo Caritas. In tutta l’Unità Pastorale dell’Arcella, che comprende, oltre alla santissima Trinità, le parrocchie di san Filippo Neri e di San Bellino, a spanne 10mila abitanti, sono 320 le persone, tra “continuativi ed occasionali”, che accedono ai servizi della Caritas.

«Sono spesso persone normali che per un accidente della vita – una malattia, il licenziamento – si ritrovano bisognose di assistenza» racconta Vittorio. «È uno choc per queste persone dover chiedere assistenza – chiariscono i due volontari – si ritrovano a non combinare il pranzo con la cena, ma non lo dicono, occorre agire con tatto e discrezione, ciascuno ha il suo percorso e la sua sensibilità». Ne emerge un caleidoscopio di storie che raccontano l’erosione della classe media, una moltitudine di persone avviate in binari che sembravano sicuri – una casa, un lavoro, una rete di relazioni – che, da un giorno all’altro, deragliano e si ritrovano fragili e spaventati.

Ada e Vittorio hanno ben chiaro che quello a cui assistono ogni giorno non è frutto del destino né di occasionali accidenti. È piuttosto il piano inclinato in cui in troppi stanno scivolando, ma a tutto questo i nostro volontari della Caritas oppongono una pacata ostinazione forgiata da decenni di onorato servizio e dalla solidità del gruppo con cui lavorano.

Hanno ascoltato molte storie di sofferenza ed ingiustizia, ma comunicano solidità e speranza: «Qualche situazione si è riusciti a risolverla» ci tengono a sottolineare, raccontando la vicenda di una coppia bengalese che da assistiti sono divenuti volontari.

La parola chiave è “lavoro di rete”: «Lavoriamo a stretto contatto con i servizi sociali del quartiere, segnaliamo i casi che incrociamo – sottolineano – e qui all’Arcella ci sono molto risorse sociali che si attivano non solo di credenti».

«La questione principale è la casa» spiega Filippo Grendene, militante della “casetta del popolo” di via Pierobon dove è attivo lo sportello sociale a cui è possibile accedere per avere consulenze e appoggio per questioni riguardanti la casa, le pratiche burocratiche e scolastiche.

Da questo osservatorio percepiamo il chiudersi della trappola in cui rischia di trovarsi chi negli anni scorsi si è indirizzato verso l’Arcella visto il relativamente basso costo degli alloggi. Il costo è lievitato, gli sfratti per morosità si susseguono in città a ritmi quasi quotidiani.

«Per gli immigrati in particolare la mancanza di residenza innesca una serie di esclusioni a catena».

«Per un cittadino immigrato non basta un contratto d’affitto per avere la residenza – ci spiega Filippo – occorre la dichiarazione d’idoneità dell’alloggio che dev’essere redatta da un professionista costa 250 euro, e certifica la conformità alle normative igienico sanitarie molto stringenti e che spesso nelle case del quartiere non sono presenti. A questa situazione di crisi risponde un mercato nero di dichiarazioni di ospitalità, un documento che può farti ottenere la residenza e che viene venduto a 600 – 1200 euro».

È stato uno choc per l’intera città la morte per asfissia di Hicem, Majdi e Nader i tre ragazzi tunisini che avevano cercato un ricovero la notte dell’Epifania dello scorso anno all’interno dell’ex Istituto Configliachi.

Ora l’edificio è in ristrutturazione, ma l’emergenza freddo vede comunque decine di persone cercare rifugio nelle parrocchie del quartiere. All’Arcella i numeri della povertà classica sono in linea con la media cittadina e leggermente migliori di altri quartieri come la Stanga, ma la disuguaglianza ha molte facce, accanto alla disuguaglianza economica – quella che richiama l’immagine della fila alle Cucine Popolari – vi sono diseguaglianze di genere, etniche, intergenerazionali, culturali si possono incrociare amplificandosi e tracciando trappole da cui è difficile uscire. E qui non si tratta di distribuire denari, ma porte d’accesso, sostegni, possibilità.

«Ci lavoriamo, non solo contro il disagio, ma per promuovere l’agio, il buon vivere» sottolinea l’assessora al sociale Margherita Colonnello che racconta l’esperienza di Arcè, il coordinamento tra le scuole del quartiere, i servizi sociali e le associazioni del territorio impegnato a seguire e sostenere i ragazzi più in difficoltà. Per farli uscire dalla trappola.

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