Cade il segreto di Stato Da Kociss il filo rosso che poteva salvare Moro
Il bandito veneziano era stato in galera con il brigatista Prospero Gallinari. E nel '78 era disposto a parlare

Silvano Maistrello: per tutti «Kociss». A sinistra il ritrovamento del cadavere di Moro
Era stato in carcere assieme a Prospero Gallinari, uno dei capi delle Brigate rosse e carceriere di Aldo Moro, e i nostri servizi segreti, allora presi alla sprovvista dal rapimento del leader della Democrazia cristiana, non sapevano dove sbattere la testa e così tentarono anche di far parlare «Kociss», il leggendario bandito veneziano allora latitante dopo essere evaso per l'ennesima volta da un carcere. A rivelarlo sono i documenti che proprio nei giorni scorsi la Presidenza del Consiglio dei ministri ha consegnato all'Archivio centrale dello Stato di Roma, rendendoli consultabili. Non sono certamente tutto ciò che Aise (ex Sismi) e Aisi (ex Sisde) hanno nei loro archivi, molto ancora rimane coperto dal segreto, ma sono uno spaccato dal quale emerge il disorientamento che colse gli 007 il 16 marzo 1978, dopo l'assalto di via Fani. Tra i 56 fascicoli consegnati c'è, ad esempio, un appunto in cui si sostiene che Moro, dopo il sequestro, sarebbe stato portato a Milano. E ancora, vengono alla luce i pedinamenti a Franca Rame, attrice e moglie di Dario Fo, e all'avvocatessa romana Tina Lagostena Bassi, sospettate evidentemente di contiguità con le Br. Ma erano soprattutto convinti che il professore di Scienze Politiche di Padova Toni Negri e i suoi studenti c'entrassero con la più eclatante operazione del terrorismo italiano, tanto da acquisire e controllare i nomi di tutti i laureati dal 1974 al 1978 nella facoltà dove insegnava il professore. Tra i tanti appunti, quello che riguarda i contatti cercati con Silvano Maistrello, meglio conosciuto con il soprannome del capo indiano Sioux al quale assomigliava davvero per i suoi capelli lunghi e corvini, la pelle color cuoio, gli zigomi e la mascella scolpiti nella pietra. Evidentemente, i servizi segreti ritenevano che il bandito veneziano avesse contatti con i brigatisti, tra cui Gallinari, con i quali era stato in carcere ed in effetti in quei mesi, anche tra i malavitosi in laguna, si raccontava delle sue simpatie per le idee dell'estrema sinistra terrorista. Non solo: allora c'era chi sospettava che «Kociss» qualche «scambio» con le forze dell'ordine, in particolare i carabinieri, l'avesse organizzato. Insomma, non un vero e proprio «soffia» (così si chiama nel mondo della mala il confidente), ma qualche informazione magari in cambio di piccoli favori per la famiglia, quello sì. Ipotesi, poi, smentita. Comunque, gli 007 speravano di ottenere notizie di prima mano, addirittura quella che avrebbe potuto portarli al covo dove Moro era prigioniero, come capiterà nel 1982 con il generale James Lee Dozier a Padova. Ma «Kociss» non è a casa e neppure in galera: da poco era scappato dal carcere e non a caso per le sue evasioni era diventato leggendario. Nella sua vita da bandito c'era riuscito almeno una decina di volte, famose quella dal treno in corsa sul Ponte della Libertà tra Venezia e Mestre e quella dal Tribunale di Rialto, con il salto dall'alto attutito dalle tende dei banchi di frutta e verdura del mercato. Allora, gli 007 contattarono - nei primi giorni di aprile, quando Moro è stato rapito da una ventina di giorni - la moglie di Maistrello, Luigina Chiozzotto. Con la donna avviano una lunga trattativa: prima pare che «Kociss» non ne voglia sapere, poi, nei primi giorni del mese successivo, Luigina sostiene: «Mio marito sa ed è disponibile a parlare». Forse, il bandito veneziano qualche cosa sa, ma il 9 maggio colui che dopo si saprà essere Mario Moretti telefona e avverte che Aldo Moro è stato ucciso e il suo corpo si trova nel bagagliaio di una R4 parcheggiata in via Caetani, a Roma. Tre giorni dopo, il 12 maggio, muore anche «Kociss» mentre fugge a bordo di un barchino, dopo aver messo a segno una rapina al Banco di San Marco a due passi dall'omonima piazza. Lui tiene il motore con una mano e si piega per evitare i proiettili delle armi da fuoco dei poliziotti, però un colpo si infila e gli trapassa la schiena proprio sotto il giubotto antiproiettile, che lui portava sempre perchè alla vita ci teneva. A sparare, sul Rio dei Mendicanti, un giovane brigadiere appena arrivato alla Squadra mobile di Venezia.
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