Camorra Spa: evase tasse per 5,5 milioni

Altri 69 indagati e 22 arresti nell’inchiesta del gip Paola Cameran: la GdF di Napoli scopre affari illeciti per 24 milioni di euro
Di Cristina Genesin

Il clan Catapano aveva ideato un metodo fittizio per il salvataggio di aziende ormai decotte. In realtà, solo un sistema di malaffare funzionale a far piazza pulita di quanto di valore restava in quelle imprese, frodando lo Stato: dall’Erario agli enti previdenziali, dai fornitori rimasti a reclamare crediti mai saldati ai lavoratori dipendenti finiti sulla strada senza né contributi né liquidazione. E, più di qualche volta, lasciando a bocca asciutta gli stessi imprenditori senza scrupoli che, in crisi o sull’orlo del fallimento, pur di salvare se stessi avevano accettato di vendersi a malavitosi dai colletti bianchi. Sistema supercollaudato anche nel ricco Nordest. Giusto il 28 marzo dell’anno scorso in 14 del sodalizio criminale erano finiti in carcere. All’alba di ieri seconda ondata di arresti nell’ambito di un’inchiesta-bis che ha portato all’emissione di 40 ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip padovano Paola Cameran (9 persone in carcere, 13 agli arresti domiciliari, 18 destinatari di un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), mentre in 27 risultano indagati in stato di libertà. A capo della holding dell'omonima famiglia di Ottaviano, i fratelli Carmine Vincenzo e Giuseppe Catapano - fondatori del marchio d’impresa che raggruppa una serie di società attive nel settore della finanza, della consulenza aziendale, dell’editoria, del merchant banking e dell’immobiliare - con il figlio Gerardo Antonio e poi, scendendo i gradini della piramide, professionisti come l'ex funzionario di banca pisano Alessandro Cassioli, il commercialista napoletano Luca Montanino, gli avvocati del foro di Napoli Elio Bonaiuto ed Eduardo Colicchio, l'ex poliziotto Bruno Rizzieri di Castelvolturno (già a processo per associazione camorristica) e il “funzionario” del clan Salvatore Onda, filtro fra base (la rete di prestanomi) e “i piani alti”, proveniente da una famiglia di pluripregiudicati con posizioni importanti all’interno del temuto clan camorristico Gionta di Torre Annunziata.

E che c'entra il Padovano? Fra le trenta aziende che hanno usufruito dei servizi offerti dal gruppo con sedi a Milano e nel centro direzionale Isola di Napoli, risultano Aessse Immobiliare Edilcostruzioni srl, con sede a Montagnana in via Luppia Alberi 154, e CM Servizi attiva nelle ricerche di mercato e nei sondaggi, con sede sempre a Montagnana in via Papa Giovanni XXIII, poi diventate Telegraph Immobiliare srl e Telegraph Servizi con il trasferimento del domicilio legale a Castelvolturno; Zetatre di S.Giorgio in Bosco in via Bernini 134, e CFC srl, di Piove di Sacco in via Mezzaluna 2, specializzata nel commercio di filati e abbigliamento. Sotto inchiesta sono finiti Franca Cavaggioni, 43 anni, e il marito Luca Miatton, 44, di Montagnana in via Luppia Alberi 154, con Luca Modenese, 48 di Chioggia in via Atena. A Miatton è stato notificato l’obbligo di firma alla polizia giudiziaria.

Le cifre parlano chiaro: nell’arco del biennio 2009-2011 le imprese decotte e “ristrutturate” hanno evaso tasse per 5,5 milioni di euro (accertati 18 episodi di bancarotta fraudolenta e 13 di sottrazione fraudolenta del pagamento delle imposte), mentre la gang ha occultato patrimoni aziendali per 9,5 milioni di euro con un guadagno di 24 milioni di euro - spacciati come prestiti partecipativi, parcelle per consulenze e corrispettivi per intermediazioni finanziarie - dirottati sui conti di due società di diritto anglosassone, la Victoria Bank Ldt. e la Telegraph Road Ltd. amministrate da Carmine Gammone, cognato di Carmine Vincenzo Catapano. All’imprenditore in condizioni di insolvenza il clan propone un patto: metti sul piatto una cifra (in contante, cambiali e assegni) pari al 15% del debito e io ti salvo gli immobili personali e l’azienda, scorporando (eventualmente) il ramo sano che potrà continuare a funzionare. Gli altri beni - intestati a familiari o amici - finiranno nel contenitore blindato, la società inglese. Così debiti e altri costi (i lavoratori) restano in capo all’azienda “marcia” che, nel frattempo, cambia sede, denominazione, proprietà e legale rappresentante. E poiché non esiste un registro nazionale delle imprese (è su base provinciale), per il curatore fallimentare la tracciabilità della vecchia azienda resterà un rebus.

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