Carmignano. Clan a processo, una sola vittima parte civile

È un imprenditore di Carmignano di Brenta: gli hanno estorto 480mila euro, riducendolo a vivere in una roulotte

CARMIGNANO. Mafia e 416 bis, non ci sono solo Luciano Donadio e i Casalesi di Eraclea. Ieri, in tribunale a Venezia, si è aperto il processo a carico di cinque membri della famiglia Multari, originari di Cutro (Crotone) ma da anni residenti a Zimella, nel Veronese.

Era stata l’inchiesta dei carabinieri del Ros, coordinata dal procuratore antimafia Paola Tonini, a svelare, nel febbraio dello scorso anno, come la famiglia ’ndranghetista guidata da Domenico «Gheddafi» Multari, legato alla cosca di Nicolino Grande Aracri (succeduta alla cosca Dragone), avesse trovato casa in questo paese della Bassa Veronese di circa cinquemila residenti, imponendo la propria legge.

«San Domenico di Cutro c’è per te», diceva ai compaesani che si rivolgevano a lui per risolvere un problema: il furto in un negozio o un debito non saldato. Una pax mafiosa che però si basava su estorsioni e ricatti - secondo l’impostazione della procura e gli elementi raccolti dai carabinieri del Ros - che hanno messo in ginocchio molti imprenditori veneti, compreso chi, dopo aver “ceduto” una casa all’asta, è stato costretto ad andare a vivere in una roulotte. Ieri, davanti al giudice per le udienze preliminari David Calabria, si è tenuta l’udienza nel corso della quale alcuni imputati hanno scelto la strada del rito abbreviato, che garantisce lo sconto di un terzo della pena. A scegliere l’abbreviato sono stati: colui che è ritenuto il boss della famiglia, Domenico, il fratello Fortunato e i figli Antonio e Alberto.

Carmine, l’altro fratello di Domenico, non ha scelto riti alternativi, e quindi si avvia verso il dibattimento, così come il sesto imputato, il moldavo Dumitru Tibulac, l’unico non appartenente alla famiglia Multari, tutti accusati di associazione mafiosa.

Nel corso dell’udienza l’avvocato difensore di Carmine, Ivan Tortorici, ha sollevato alcune eccezioni sulle modalità di alcune intercettazioni realizzate nelle carceri di Voghera e Opera. Delle venti persone offese individuate dalla procura, in buona parte imprenditori finiti nella rete dei Multari, solo uno ha deciso di costituirsi parte civile.

E’ l’imprenditore Gianni Fornasa (nei confronti di Domenico) di Carmignano del Brenta (Padova), rappresentato dall’avvocato Alvise Fontanin. Fornasa, l’imprenditore finito nella roulotte, era arrivato a versare a Domenico Multari, che lo minacciava, 480 mila euro.

Le prossime udienze sono fissate per il 16,17 e 24 gennaio.

Nell’operazione dei Ros dello scorso febbraio era finito in carcere anche l’imprenditore Francesco Crosera (difeso dall’avvocato Renato Alberini) titolare di un cantiere nautico a Quarto d’Altino. La sua posizione è però stata stralciata, e la sua vicenda processuale è ora incardinata a Sassari, poiché è in Sardegna che si è svolto l’episodio per il quale è indagato.

L’imprenditore non è accusato di essere un membro dell’associazione mafiosa, ma di essersi rivolto a membri della famiglia Multari, commissionando loro l’incendio di un’imbarcazione, ormeggiata al Porto di Sassari, da lui costruita e sulla quale il cliente aveva però sollevato forti perplessità.

Secondo l’accusa Crosera aveva commissionato a Domenico Multari l’incendio dello yacht con l’obiettivo di non pagare i gravi difetti costruttivi contestati dal cliente, al centro di un arbitrato. Indagine chiusa dalla Procura di Sassari. L’udienza è stata fissata per marzo. —


 

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