Cassa peota, dopo tre anni i soci truffati si rassegnano

ALBIGNASEGO. Tre anni e nessuna speranza di rivedere i soldi: sono amareggiati i soci della cassa peota Buoni amici; avrebbero voluto costituirsi parte civile in un eventuale processo contro i presidenti, che non hanno reso loro i soldi versati. Purtroppo però i due risultano nullatenenti e una causa non porterebbe ad alcun risarcimento. «Loro continuano a vivere tranquilli», commenta Antonio Cavaliere, punto di riferimento per gli altri soci in questi anni di lotta per tornare in possesso dei loro quattrini e ottenere giustizia. «Vorremmo almeno sapere chi ha preso il nostro denaro e che fine ha fatto» prosegue Cavaliere. «Voci dicono che uno dei due si stia ristrutturando la casa e che l'altro abbia riaperto un'attività. Non so se sia vero: se lo fosse, certo lo stanno facendo anche con i soldi nostri».
Lo scandalo. Lo scandalo della cassa peota era esploso il 23 gennaio 2014, allorché gli oltre 300 soci pretesero la restituzione delle somme versate nel 2013, che a fine anno dovevano venire rimborsate. La data di dicembre era slittata a gennaio e avevano portato pazienza: si fidavano del vecchio, storico presidente Elia Simonato, che li aveva sempre pagati, e perché non avrebbero dovuto fidarsi del suo successore, Mauro Marotto, subentrato dopo che Simonato era stato sfiduciato per irregolarità emerse da alcuni controllo della Guardia di finanza? Ma al momento di ritirare gli assegni, scoprirono che riportavano soltanto il 20% di quanto ognuno di loro aveva versato nel corso dell'anno. Non si trattava di cifre astronomiche: la maggior parte dei soci sono pensionati e casalinghe, mettevano da parte poche centinaia o qualche migliaio di euro per fare i regali di Natale, pagare bollette o tasse. Soldi che facevano loro comodo e avevano versato in fiducia.
Le indagini. Ma al bar Centrale, sede della cassa peota, quella sera del 23 gennaio la rabbia era esplosa, i soci avevano richiesto l'intervento dei carabinieri, nelle mani dei quali Marotto aveva messo tutta la documentazione affermando che soldi non ce n'erano. Dove erano finiti allora? Era partito quindi un doppio filone di indagini, sotto il profilo penale da parte dei carabinieri di Albignasego, sotto quello patrimoniale della Finanza. Le prime due denunce erano arrivate 2 giorni dopo (per un ammanco da 2.500 euro), seguite da altre tre (per altri 40 mila), per finire con 179 soci, che attendevano la restituzione di 238 mila euro. Ma ce ne sono stati altri che la denuncia non l'hanno nemmeno presentata. Un "affaire" da mezzo milione di euro. Il pubblico ministero ha notificato la chiusura delle indagini il 20 febbraio 2016, passando la palla al giudice per le indagini preliminari, cui spetta di decidere se rinviare i due a giudizio e processarli per quello di cui sono accusati, truffa e appropriazione indebita. Sia come sia, ai quasi 200 soci non sarà probabilmente restituito un centesimo.
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