Chirurgia vascolare: «Così aggiustiamo le arterie malate»

A Padova l’unica Scuola di specializzazione del Triveneto Il professore Franco Grego e i primati del reparto che dirige

PADOVA. Quella di Padova è l’unica Scuola di specializzazione in Chirurgia vascolare del Triveneto. Istituita nel 1998, è diretta dal 2009 dal professor Franco Grego, bolzanino di provenienza, 61 anni, titolare dell’insegnamento di Chirurgia vascolare oltre che direttore dell’Unità complessa della medesima specialità nell’Azienda ospedaliera universitaria. Sotto di lui si sono formati decine di chirurghi vascolari e 5 di questi sono già primari in altrettanti ospedali. Il professor Grego non è solo un abile chirurgo. O meglio: lo è tanto di più dal momento che le sue capacità cliniche, riconosciute a livello internazionale, si accompagnano a una umanità e una sensibilità nei confronti del paziente di raro spessore. Nei giorni scorsi ha eseguito un delicato intervento su una giovane paziente, a cui è stata sostituita tutta l’aorta toracica e l’aorta addominale. Un’operazione che viene eseguita in pochissimi centri in Italia.

Professore cosa ci può dire di questo intervento?

«È il più complesso della chirurgia vascolare e richiede solitamente 7-8 ore di sala operatoria. Nel caso specifico, si è trattato di una giovane paziente di 40 anni che due anni fa aveva avuto una dissezione dell’arco aortico e dell’aorta toraco-addominale, un problema che ha un’incidenza di 10 casi ogni 100 mila abitanti, molto bassa In pratica la parete dell’aorta si separa in due lumi con il rischio di rompersi. Nella fase iniziale, acuta, era stata trattata con metodica non invasiva per via endovascolare. Questo ha permesso di correggere le complicanze immediate della malattia ma non di debellarla. In questi due anni è evoluta con un aneurisma sempre più grande che ha portato l’aorta a un diametro a livello addominale di 8 centimetri rispetto ai 2, 4 normali. Da qui la necessità di sostituire l’intera aorta toracica e addominale. La complessità dell’intervento sta soprattutto nei tempi strettissimi e invalicabili tra un passaggio e l’altro, poiché con l’aorta si ricostruiscono anche tutte le arterie che da essa si dipartono per raggiungere i vari organi. Di questi interventi ne facciamo circa dieci l’anno».

Quali sono le patologie su cui interviene la chirurgia vascolare?

«Gli aneurismi che si hanno quando l’arteria raddoppia o triplica di diametro con un processo dilatativo che porta alla rottura. L’aorta è il vaso più colpito. Le stenosi o le occlusioni delle arterie per cui arriva poco sangue all’organo: in questo caso si interviene per esempio per prevenire l’ictus cerebrale, correggendo stenosi delle arterie carotidi, anche quando sono asintomatiche o nel caso diano segnali con attacchi ischemici transitori. Poi ci sono casi di occlusioni delle arterie degli arti inferiori, per cui arriva poco sangue alle gambe con il rischio di gangrena».

C’è un paziente tipo per queste patologie?

«Il rapporto fra uomini e donne è di due a uno e l’età si sta abbassando. Quando iniziai 40 anni fa vedere in reparto un paziente di 55 anni era un caso, oggi un terzo dei pazienti ha quell’età».

Come si spiega?

«Con lo stile di vita: i nemici delle arterie sono il fumo, i grassi, il diabete. Stiamo raccogliendo i frutti degli anni del “benessere”. Ora invece notiamo nei più giovani molta più attenzione sia sul fronte del fumo che del cibo. Ma i risultati li vedremo fra vent’anni».

L’Azienda ospedaliera universitaria è hub regionale: come si inserisce in questo ambito la Chirurgia vascolare e com’è il rapporto con il territorio?

«Oggi c’è la necessità di usare in maniera sempre più corretta le risorse. Obiettivo che necessita di due cose: da una parte la competenza degli specialisti e dall’altra un sistema in cui siano definiti percorsi diagnostici e terapeutici corretti e i centri terapeutici di riferimento ad alto volume. Non ha senso eseguire un intervento all’anno nell’ospedale di provincia, perché non potrà avere lo stesso risultato di un centro specializzato. Qui si definisce il ruolo degli ospedali hub e spoke. Non possiamo fare tutti tutto. Si sprecano risorse e si rischia: un intervento che non va, ne impone un altro, con maggiori complicanze. Il rapporto con il territorio e i medici di famiglia è fondamentale».

La Scuola di specializzazione che dirige sforna i migliori chirurghi vascolari del Paese, molti dei quali ricoprono incarichi di prestigio in altri ospedali.

«È certamente motivo di soddisfazione, soprattutto per l’obiettivo che ci siamo dati e che stiamo perseguendo. Il primo dovere del medico è quello di mettersi nei panni del malato, aspetto carente nella nostra categoria. È un atteggiamento che prima di essere insegnato va testimoniato. Non esiste cura se non c’è rapporto umano tra medico e paziente e chi studia e lavora con me cresce su queste basi. È il motivo per cui siamo una squadra molto unita, qui in reparto ma anche con i colleghi che sono andati a lavorare altrove. Credo che il compito di un “capo” sia quello di far crescere tutti i suoi allievi. È così che lavoriamo qui».

Medicina del futuro e alta specializzazione si scontrano in Azienda ospedaliera con strutture spesso inadeguate, sempre in attesa del nuovo ospedale...

«Il lamento non paga. Il nostro compito è preoccuparci dei malati e di sfruttare al meglio le risorse che abbiamo. Posso comprendere gli sfoghi di alcuni colleghi che spesso si trovano in situazioni di disagio. Tuttavia dobbiamo considerare che il problema non è nato oggi, non possiamo imputarlo all’attuale Direzione. Dobbiamo tutti impegnarci per dare il meglio con quel che c’è». —

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