Con Bruce Springsteen nella storia del rock
PADOVA. Ecco a voi il maratoneta del rock. Bruce Springsteen, venerdì sul palco dello Stadio Euganeo, ha mostrato a tutti che i sogni sono sempre a portata di mano. In quasi tre ore di musica il Boss ha condensato 40 anni di carriera: il suo lato più folk in apertura con “The Ghost of Tom Joad”, la sua graffiante vocalità soul in “Spirit in The Night” e l’energia esplosiva del rock con i grandi inni “Badlands”, “Born in the Usa” e “Dancing in the Dark”. Sono brani che sollevano il pubblico da terra, quelli di Springsteen, trasformando le migliaia di fan assiepati sul prato dell’Euganeo in una marea umana, un’onda colorata che si infrange sul mega palco, lì dove c'è lui: “The Boss”.
Springsteen più che una semplice rockstar è un eroe buono che unisce una fisicità vigorosa, quasi epica, con l’atteggiamento semplice e gioviale di un blue collar americano. Estroso e infaticabile operaio della musica in oltre 40 anni di carriera il Boss ha saputo affermarsi sia come fedele e prolifico osservatore della società americana sia come instancabile animale da palco Ercole contemporaneo che trascina le folle da una parte all’altra del Paese, e non solo.
L’intro, quasi in punta di piedi, è un omaggio alle radici della sua musica, Bob Dylan e Woody Guthrie. Con il secondo brano “Long Walk Home” entra prepotentemente in scena la E Street Band, che si esibisce per la prima volta in Veneto con il suo scoppiettante incrocio di sonorità rock e rythm’n’blues. Il pubblico si scalda sempre di più, finché non rimbomba l'omaggio esplosivo a John Lee Hooker con il riff di “Boom Boom”. È l’autentica sorpresa che spariglia le carte, ricordando a tutti che Springsteen cambia scaletta a ogni show: l’ultima volta che aveva suonato quella cover era l’agosto 2012, a Boston.
Dopo il passaggio obbligato attraverso tre brani dall’ultimo album “Wrecking Ball”, l’inno anticrisi “We Take Care of Our Own”, la dirompente “Wrecking Ball” e la marziale “Death to My Hometown”, arrivano i primi abbracci col pubblico e il simpatico siparietto con Jake Clemons, nipote del compianto Clarence “Big Man”.
Lo stadio si trasforma in un piccolo jazz club, dove si ascoltano le solitarie svisate del sax. Quando sembra di aver già visto tutto, non siamo nemmeno a metà, il concerto di Padova entra davvero nel mito con quelle poche parole, in italiano, che annunciano l’esecuzione del suo primo grande successo planetario: «È bellissimo essere qui, questa notte suoneremo “Born to Run”». L’album intero, intende: sono brividi per tutti, alla faccia di chi immaginava quella di Padova come una data “cenerentola” del tour. Ci si ritrova a urlare a squarciagola quei successi d’annata, siamo nel 1975, che hanno fatto la storia del rock. Nel frattempo inizia anche a piovere, ma quelle gocce che attraversano le potenti luci del palcoscenico e dello stadio sembrano smaterializzarsi, la pioggia non esiste più, è solo scenografia di un concerto memorabile.
Springsteen accoglie le richieste del suo pubblico: “per favore balla con mia suocera” c'è scritto in inglese su un cartellone, ed ecco che la signora (giornalista radiofonica che arriva da Zagabria) si ritrova ad abbracciare il suo idolo sul palco. Gran finale con “Twist and Shout”, il pubblico esegue alla lettera, si dimena e canta con la poca voce rimasta. Lo show di Springsteen è come un big bang, inizio e fine di una storia che tutti potranno portare con sé, per sempre.
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