Cornaro e Ruzante, tra cultura e sberleffo

di Francesco Jori
La cultura e lo sberleffo. La Padova del Cinquecento viene resa frizzante dalla presenza di due personaggi legati tra loro da uno stretto rapporto: Alvise Cornaro e Angelo Beolco meglio conosciuto come il Ruzante. Come suggerisce il cognome stesso, Cornaro è originario di Venezia, dove nasce nel 1484: la sua famiglia è una delle più blasonate della Serenissima; lui stesso si qualifica come discendente di un doge della seconda metà del Trecento, Marco; ma come vedremo il buon Alvise tende a spararle grosse su se stesso. Approda a Padova già da bambino, a soli cinque anni, “parcheggiato” dal fratello della madre Alvise Angelieri che può garantirgli un elevato tenore di vita. Studia all’università lettere e giurisprudenza, ma non si laurea; anche perché quando ha appena 27 anni il suo futuro è blindato dalla morte dello zio, che gli lascia in eredità la casa di Padova, e una serie di terre nella Bassa. Così il nostro diventa padovano a tutti gli effetti; e questa scelta si rivelerà un bene per la città.
Anche senza titolo di studio, dimostra una cultura profonda e una vivace pluralità di interessi. Scrive, recita, fa l’imprenditore agricolo, bonifica terreni, si inventa architetto, si propone come esperto di idraulica. Arriva a sottoporre al Magistrato alle Acque di Venezia un innovativo progetto per difendere la laguna dall’interramento causato dal Brenta, che prevede tra l’altro una cinta muraria da costruirsi in acqua, con tanto di bastioni e terrapieni: quasi una sorta di anticipazione dell’odierno Mose, peraltro privo di qualsiasi ombra di tangenti e corruzioni (in materia la Serenissima è di un rigore assoluto). Ma soprattutto, Cornaro attinge alla cospicua eredità ricevuta, e incrementata dalle nozze con Veronica Agugia, per esercitare la nobile arte del mecenate, oggi stinta nel mestiere dello sponsor, non sempre limpido.
Il luogo deputato a questa vocazione è la sua abitazione dell’attuale via Cesarotti, a un tiro di schioppo dalle cupole della basilica del Santo, e che tra l’altro dispone di un cortile interno: residenza dove il padrone di casa dà vita a una vera e propria piccola corte rinascimentale. Nel suo salotto passano architetti del valore del Falconetto, future star come il Palladio all’epoca non ancora affermato, letterati come Daniele Barbaro, umanisti come Giangiorgio Trissino, e molti altri uomini di cultura.
In questo panorama di variegati ingegni un posto d’onore va attribuito ad Angelo Beolco: del quale non sono certi né il luogo né la data di nascita (probabilmente Pernumia, intorno al 1496). Prenderà il nome con cui è diventato famoso, Ruzante, da un personaggio da egli stesso inventato e pure interpretato nelle sue commedie; come attore fa il suo esordio nel 1520 a palazzo Foscari di Venezia, ma intanto ha già scritto la sua prima opera, la “Pastoral”. Si sistema definitivamente quando, dall’inizio degli anni Trenta, allaccia uno stretto rapporto con Alvise Cornaro, che coglie in lui grandi qualità; soprattutto, la capacità di abbinare un’elevata educazione letteraria con lo spirito di una cultura popolana dialettale, specie quella legata al pavano.
Un ruolo e un rilievo che gli saranno riconosciuti meglio di ogni altro da Dario Fo, il quale lo citerà nel discorso di accettazione del premio Nobel per la letteratura: “Uno straordinario teatrante della mia terra, poco conosciuto anche in Italia. Ma che è senz’altro il più grande autore di teatro che l’Europa abbia avuto nel Rinascimento prima ancora dell'avvento di Shakespeare. Sto parlando di Ruzante Beolco, il mio più grande maestro insieme a Molière: entrambi attori-autori, entrambi sbeffeggiati dai sommi letterati del loro tempo. Disprezzati soprattutto perché portavano in scena il quotidiano, la gioia e la disperazione della gente comune, l'ipocrisia e la spocchia dei potenti, la costante ingiustizia . In effetti è uno che non esita a mettere alla berlina il potere; il quale peraltro, a differenza di oggi, è molto meno permaloso e non reagisce a colpi di querela.
Ma torniamo a Cornaro: il suo incontro con Falconetto, e il connubio con Ruzante, rappresentano lo stimolo per dare vita a quello straordinario complesso che è rappresentato dall’Odeo e dalla Loggia che portano il suo nome, e che si ispira alla lezione architettonica di Vitruvio. La Loggia, realizzata in pietra di Nanto e lunga 18 metri per 5 di profondità, fa da fondale agli spettacoli messi in scena da Ruzante nello splendido giardino. Quanto all’Odeo, costituito da una sala ottagonale a volta, viene utilizzato per concerti e recite di poesie, ma anche per discussioni letterarie. Resta da dire della personalità di Alvise Cornaro, che come accennato non è aliena da qualche peraltro perdonabile vezzo: specie quello di allungarsi l’età, per dare testimonianza vivente della sua tesi secondo la quale la vita sana consente di vivere bene e a lungo; un anno prima della morte, avvenuta nel 1566, sosterrà addirittura di avere 95 anni, contro gli 82 effettivi. Su se stesso scrive anche un “Autoelogio”; ma in fondo ne ha molti più motivi dei tanti che oggi si autocelebrano senza averne il minimo titolo.
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