«Costretta ad adescare ragazzi in patronato»

La denuncia della donna che accusa il parroco di San Lazzaro «In una esplosione d’ira disse che avrebbe ucciso me e mio figlio»
Di Enrico Ferro
BELLUCO.DON ROBERTO PARROCCO CARBONARA DI ROVOLON
BELLUCO.DON ROBERTO PARROCCO CARBONARA DI ROVOLON

C’è una donna che si è tatuata sulla spalla il nome di un uomo. Quel nome è “Andrea”. E anche adesso che tutto intorno ci sono solo macerie, quel nome è lì perché l’inchiostro si è mescolato con il sangue, si è sedimentato sottopelle. Così come quell’amore sbagliato scandito da presunte violenze e vessazioni. La perversione che dava piacere e adrenalina alla fine è diventata una prigione. Una gabbia da cui una donna di 49 anni ha deciso di uscire. Lei è l’amante del prete e lui è don Andrea Contin. Nelle otto pagine di denuncia c’è tutto il conflitto interiore vissuto rincorrendo quello che considerava l’amore della vita. Ma c’è anche, sempre stando al racconto, la brutalità di un uomo che ogni domenica predicava dall’altare i valori cristiani. Un uomo a cui una comunità intera, quella di San Lazzaro, si era affidata. E invece la canonica altro non era che un crocevia dei più biechi istinti.

L’INIZIO DEL RAPPORTO

«Iniziai a frequentare nel 2001 la parrocchia di San Lazzaro». Comincia così la deposizione della quarantanovenne che sta facendo tremare la Diocesi di Padova. «Nel 2006 arrivò a capo della parrocchia don Andrea Contin. Durante un pranzo con gli appartenenti alla comunità, sembrò avere uno sguardo particolare nei miei confronti. Ritenendo fosse solo una mia impressione non ci diedi peso. Nel frattempo svolgevo volontariato come membro del gruppo liturgico di una parrocchia dell’hinterland. Prima di Natale 2010 ricevetti una telefonata di don Andrea che aveva chiesto il mio numero a un parrocchiano. Durante la chiamata mi chiese di passare in canonica per ritirare dei libretti liturgici. Da quel momento iniziò a inviarmi dei messaggi generici (come stai, perché non passi da me?). In seguito iniziò a dirmi che mi ammirava e apprezzava la mia voce, la mia positività e allegria. Cominciò a essere sempre più insistente e frequente nell’invio degli sms. Un sabato trascorremmo quindici minuti al telefono durante i quali mi lusingò di continuo. Un giorno, invitandomi in canonica, dopo una breve conversazione, mi abbracciò e mi baciò sulla bocca. Rimasi impietrita, me ne andai sconvolta. Intanto i messaggi aumentavano notevolmente. Iniziò a dirmi che gli mancava il respiro se non gli rispondevo. Mi invitò a mangiare una pizza e piangendo mi disse che era stanco di questa sua doppia vita. Mi accorsi che mi stavo innamorando perdutamente».

LE PERVERSIONI

«Nel febbraio/marzo 2011 ci fu il primo rapporto sessuale in canonica che non fu dolce ma marcatamente aggressivo. Nonostante ciò mi sentivo sempre più innamorata e felice per le sue tante attenzioni».

«Ero realmente felice di ricevere tante attenzioni, fin quando mi fece leggere alcuni sms molto spinti provenienti da altre ammiratrici. Mi faceva vedere anche foto di donne nude durante atti sessuali con altri uomini. Alcune erano parrocchiane che io avevo visto frequentare la chiesa. Mi portò spesso nei parcheggi autostradali nella zona di Vicenza per farmi guardare uomini e donne che facevano sesso fuori dall’auto. In quel periodo mi diede anche le chiavi della canonica e mi aiutò economicamente nell’acquisto di un’auto di cui ero sprovvista. Iniziò a essere molto esigente dal punto di vista sessuale e mi scattò delle fotografie dapprima vestita, poi parzialmente svestita, infine completamente nuda. Voleva rapporti sempre più spinti. Aveva sempre con sé una valigetta con all’interno vibratori, maschere, capi in pelle già visibilmente usati da altre donne e un giorno mi portò in un sexy shop nell’Alto Vicentino dove acquistò specifici prodotti erotici».

«A settembre 2011 mi disse di vestirmi più sexy del solito perché la sera mi avrebbe fatto una sorpresa. Mi venne a prendere e mi portò a Vicenza nel parcheggio rialzato di un supermercato. Dopo poco arrivarono un uomo e una donna. Lei era molto gentile e garbata. Iniziò a baciarmi, abbiamo avuto un rapporto sessuale a cui hanno partecipato anche i due uomini. Quando ce ne siamo andati ho chiesto a don Andrea dove li avesse conosciuti e lui, soddisfatto, mi fece vedere che aveva postato le mie foto nuda sul sito per coppie “Sexycommunity” e anche sul sito “La moglie offerta”».

«Mi chiamava “schiava”, mi comprò una ciotola per animali e un guinzaglio marrone».

«Un giorno mi portò da don Roberto Cavazzana a Carbonara di Rovolon perché mi disse che doveva salutarlo. A un certo punto mi prese la testa e me la abbassò dicendo che dovevo avere un rapporto orale. Obbedii. La stessa cosa avvenne una seconda volta, quando don Andrea mi portò a cena con don Roberto in un ristorante dei colli. Successivamente ci recammo in canonica a Carbonara di Rovolon dove abbiamo avuto un rapporto sessuale a tre».

«A novembre 2011, dopo avermi portato a casa di un suo amico, persona distinta di circa 40/50 anni, mi obbligò ad avere un rapporto a tre. Arrabbiata andai in bagno a riordinarmi».

«Il rapporto si stava realmente deteriorando perché Andrea aveva iniziato a chiedere prestazioni sempre più estreme anche con uomini di colore, usando un linguaggio molto offensivo. Una sera organizzò una cena in canonica dicendo di avermi preparato una sorpresa ma alla fine della cena arrivarono tre uomini italiani. Mi portò in garage, mi obbligò ad avere un rapporto sessuale con tutti e tre. Solo in seguito scoprii che all’interno di un dado rosa di cartone posto su un mobile del garage aveva messo una telecamera che registrava tutto».

«Una domenica dopo aver detto messa mi obbligò ad avere un rapporto sessuale nel garage con un uomo di colore. Ricordo che aveva posizionato a terra un plaid a quadri e dei cuscini color oro».

«Verso la fine del 2012 Andrea, per soddisfare i suoi sempre più spinti desideri, mi portò in un bar vicino alla Peugeot di Padova, frequentato per la maggior parte da uomini di colore. Fortunatamente quella sera non trovammo nessuno ma in seguito mi obbligò ad avere un rapporto per strada con un uomo conosciuto in quel bar».

«Iniziò a chiedermi di andare dietro la canonica per attirare i ragazzi che giocavano nel campo di calcio e, una volta adescati, mi costringeva ad avere rapporti con loro vicino al garage. Lui, nascosto, mi filmava e mi fotografava per poi farmi vedere i video».

«Quando gli dissi che non ero più disposta a prestarmi a quei giochetti, mi portò più volte in zona Limena per vederlo durante un rapporto sessuale con un transessuale».

«Una sera invitò in patronato una coppia di amici a cena. Lui fece trovare bottiglie di champagne e alla fine abbiamo avuto un rapporto sessuale a quattro. Mi ha scattato una serie di foto che ha poi postato sul sito di incontri. Visto che ne aveva pubblicata una con la faccia parzialmente visibile, litigammo violentemente».

«Sempre nel 2013 mi portò verso San Martino di Lupari dove mi costrinse ad avere un rapporto con tre uomini, di cui due di colore, mentre lui scattava fotografie. Sconvolta raccontai la triste storia che stavo vivendo a un parrocchiano. Andrea, ingelosito da questa amicizia, mi chiese di invitarlo in canonica nel garage e mi costrinse ad aver un rapporto sessuale che fu ripreso».

«Nel marzo 2013 il nostro rapporto era altalenante e dettato da momenti felici e momenti litigiosi. Lui conobbe un uomo di colore. Andammo verso Udine a cena e poi in un albergo. Sul posto c’era la solita coppia di amici. In quella circostanza abbiamo avuto un rapporto sessuale a cinque, durante il quale sono stati utilizzati oggetti erotici acquistati in un sexy shop dell’Alto Vicentino».

«Da aprile 2013 iniziò a chiedermi rapporti ancora più etremi ma io mi rifiutai categoricamente anche se lui era insistente e aggressivo».

«Verso ottobre/novembre 2013 mi chiamò verso mezzanotte ordinandomi di andare da lui. Arrivata in canonica, con sommo stupore, trovai un transessuale e Andrea mi obbligò a guardarlo durante un rapporto sessuale con lui».

LE VIOLENZE

«Data la sua possessività mi aveva costretto ad allontanare i miei amici e a frequentare unicamente i suoi, vietandomi di parlare con altri uomini».

«A maggio del 2011, durante la sagra di San Lazzaro, mentre facevo volontariato, lui si accorse di un uomo che mi aveva guardata senza che io me ne accorgessi. Una volta entrata in canonica mi scaraventò a terra e iniziò a picchiarmi. Nei giorni successivi indossai una maglietta lunga per nascondere i lividi».

«Pochi giorni dopo l’Epifania, nel 2012, una sera mi disse di avere un impegno a Casetta Michelino. Io, già insospettita, andai a verificare e trovai nelle vicinanze dell’albergo Net Center l’auto di una parrocchiana. Verso le 2 di notte la vidi uscire dal bar collegato alla canonica. Fu così che scoprii la loro relazione. A quel punto andai in canonica, lui negò ogni mia accusa e mi picchiò con calci e pugni».

«Avevo fondati sospetti sull’esistenza di un’altra relazione che egli aveva con una donna che abitava in zona Camin. A luglio 2012 li vidi insieme al ritorno da una serata. Dopo averli affrontati lei scappò e, una volta in canonica, lui mi picchiò sempre in testa dicendo che in quel punto non si sarebbero viste le ecchimosi. In quella circostanza chiamai il marito di lei».

«Ad agosto 2012, dopo una cena in canonica, mentre stavo andando via vide che avevo delle scarpe molto carine e mi chiese perché le avessi indossate in quell’occasione. Mi fece rientrare e mi picchiò. Riuscii a tornare a casa con grande difficoltà per i dolore, tanto che dovetti ricorrere alle cure della guardia medica. Una mia collega, vedendomi soffrire, mi portò in un centro antiviolenza ma scegliemmo una città diversa da Padova per paura che gli venisse riferito».

«Il 23 dicembre 2012 mi invitò a cena in canonica, mi fece accomodare su un divanetto rosso e, dopo aver chiuso la porta, iniziò a picchiarmi con ferocia inaudita. Io, a terra, non riuscivo a muovermi né a urlare. Andò in cucina, prese un coltello e me lo puntò alla gola. Mi disse che avrebbe fatto sparire me e mio figlio. Riuscii a mandare un messaggio alla mia amica chiedendole aiuto. Lui prese una sedia e me la scaraventò addosso offendendomi. Io per difendermi alzai il piede e il tacco del mio stivaletto si conficcò in una sedia».

«Nel giugno 2014 mi disse che doveva partire per un camposcuola a Posina e che io sarei dovuta andare solo dopo il suo ordine. Decisi di non andarci. Il pomeriggio del 29 giugno andai da lui in canonica. Mi scaraventò a terra nel cortile e mi picchiò con calci e pugni. Urlavo ma nessuno sentiva. Rimasi a casa dal lavoro in malattia per 18 giorni».

«Prima che io partissi per andare a trovare mio padre morente mi disse: “Spero che muoia tra mille dolori”».

LA BELLA VITA

«Nei ristoranti di lusso era conosciuto come “l’avvocato”. Mi chiese di confermare tale ruolo. Sceglieva sempre hotel molto costosi: Villa dei Cedri in zona Garda, Ca’ Manier a Trissino (Vicenza), hotel Nautica a Novigrad, Villa Cittar in Croazia, hotel Draga di Lovrana, hotel Taverna da Marino in Croazia, hotel Le Fontanelle a Castelnuovo Berardenga Pianella (Siena). Quando prenotavamo mi faceva pagare mediante bonifico dal mio conto corrente per consegnarmi i soldi contanti solo in seguito».

«Mi fece conoscere anche la sorella, la quale vedendomi chiese: “Non è quella dell’altra sera?”. Lui, guardandola con rabbia, rispose di no».

«Il 31 luglio 2012 organizzò una giornata in un agriturismo vicino a Grisignano di Zocco (Vicenza) con alcune coppie. Nel primo pomeriggio, nella piscina del locale, arrivò la signora che lavorava come perpetua e iniziò a urlare contro di lui. Si infuriò perché anche lì era conosciuto come “l’avvocato”, quindi mi chiese di riferire che si trattava di una cliente arrabbiata perché lui le aveva fatto perdere una causa. Se ne andò lasciandomi sola». Sola e ferita, ancora una volta.

e.ferro@mattinopadova.it

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