Donadel: «L'inceneritore di San Lazzaro di Padova andrebbe spento invece ora vogliono bruciarci i Pfas»

Il portavoce di Opzione Zero, mette in guardia dalle conseguenze della costruzione di una nuova linea 

PADOVA. «Siamo nel 2021, abbiamo competenze e tecnologie per chiudere il ciclo dei rifiuti, invece siamo qui a parlare dell’ennesimo investimento su un inceneritore. Pensare di andare avanti bruciando rifiuti è una pazzia». Mattia Donadel non è un ingegnere ma anni di attivismo lo hanno “promosso” dal rango di semplice ambientalista (ma con formazione accademica ambientale) in esperto di inceneritori. Portavoce di Opzione Zero, guida le battaglie contro l’impianto di Fusina, nel Veneziano. «Ma i confini provinciali e regionali con questi reattori chimici non esistono», chiarisce subito. «La Riviera del Brenta, per dire, respira tutte le emissioni di San Lazzaro».

Lei ha assistito alla presentazione del progetto di Hestambiente per la quarta linea e ha visto le carte presentate in Regione. Che idea si è fatto di questo intervento?

«È a tutti gli effetti un potenziamento. Con la quarta linea, torneranno a bruciare 245 mila tonnellate di rifiuti all’anno, il massimo possibile, che oggi non raggiungono. Sempre che poi non decidano di conservare anche le due linee delle quali si annuncia lo smantellamento».

La quarta linea dell'inceneritore di Padova, spiegata bene

Dal punto di vista formale come sta agendo Hera?

«Meglio di Veritas a Fusina, direi. Carte a posto, procedure regolari. Semmai il dubbio è che, essendo anche un impianto termico e di potenza superiore ai 50 megawatt, in questo caso il ministero dovrebbe sottoporre a screening il progetto».

Sotto il profilo dell’impatto ambientale, l’azienda garantisce un miglioramento.

«Il punto non è il rispetto dei limiti, ma la quantità assoluta di inquinanti rilasciati. Puoi essere in regola se stai all’1% di un certo inquinante. Ma se emetti grandi quantità, quello che rilasci si accumula sul terreno, nell’aria e nell’acqua. Sommandosi agli altri inquinanti, che a Padova sono già tanti».

Non a caso ora tutti stanno chiedendo uno studio epidemiologico sull’impatto dell’inceneritore.

«Mi sembra il minimo chiedersi che cosa ha prodotto finora questo impianto. Studiamo le unghie dei bambini, il latte materno, facciamo analisi».

Anche perché la nuova linea si offre a nuove categorie di rifiuti. A cominciare dal percolato con Pfas.

«Ho visto che tra i codici previsti ci sono sia i percolati di discarica, anche con Pfas, sia i fanghi di depurazione che pure contengono Pfas in alte concentrazioni. In mezzo a quei fanghi ci sono 4 mila sostanze, alcune particolarmente pericolose che non si distruggono se non sopra i 1.400 gradi. L’inceneritore rischia di non fare altro che spanderle nel territorio attraverso i fumi dei camini. C’è un caso che sta facendo scuola negli Stati Uniti, nello stato di New York. Forse,se proprio dobbiamo smaltire queste sostanze, è il caso di valutare l’opportunità di inertizzarle e stoccarle».

Chi è più favorevole, o meno contrario, sostiene che i rifiuti da qualche parte bisogna metterli.

«Nel 2021 no. L’Europa ci dice di risparmiare materia. Bisogna lavorare sulla filiera. Ormai, anche qui nel Veneto, c’è chi recupera i pannolini, chi trasforma il plasmix, la plastica mista. Si tratta di responsabilizzare i cittadini a una miglior differenziata, di far pagare tariffe puntuali e di selezionare i residui nell’ottica del recupero e non dell’incenerimento come avviene adesso. Gli inceneritori ci sono già, bisogna puntare a chiuderli, non potenziarli. Tracciare una rotta e proseguire verso il traguardo anziché spostarlo di continuo».

L’assenza di un piano regionale sui rifiuti facilita le aziende.

«Di fatto la politica si trova costretta a inseguire le aziende, che - in assenza di una pianificazione - vanno avanti seguendo logiche economiche e di profitto. Sappiamo dall’Arpav che tutto il Veneto sta migliorando la raccolta differenziata, il secco indifferenziato si riduce ogni anno, ci sono Comuni del Trevigiano che riciclano oltre l’80%. Ci manca davvero poco per chiudere il ciclo. Ecco perché non dovremmo potenziare gli impianti, né le discariche come quella di Sant’Urbano».

Il timore è che potenziandoli, si attirino rifiuti da altre regioni.

«È un rischio che esiste. Perché gli impianti in qualche modo dovranno funzionare. Ed è per questo che l’assenza di una pianificazione regionale diventa ancora più grave. Senza un indirizzo, non c’è controllo». —


 

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