È morto Faletti Passò dalla risata ai grandi thriller

TORINO. L’ultimo indizio è in rete. Tra i libri annunciati per l’autunno, da Einaudi Stile Libero, c’è “Figli di” e porta la firma di Giorgio Faletti. Doveva essere un thriller, e invece ieri Giorgio Faletti è morto, a 63 anni, all’Ospedale di Torino, dopo che alcuni mesi fa aveva sospeso, per malattia, la sua tournée teatrale, uno “one man show” in cui, chitarra alla mano, cantava e parlava, riunendo per una volta le sue tante vocazioni. “Purtroppo a volte l’età è nemica della gioia” - aveva scritto al momento di sospendere gli spettacoli. “A volte immaginare la verità è molto peggio che sapere una brutta verità” – ha invece scritto ieri mattina.
Con più di dodici milioni di copie Giorgio Faletti è uno degli scrittori che più hanno venduto in Italia. Il suo primo libro, “Io uccido” ha ormai raggiunto i 4 milioni e mezzo, cifra assolutamente impressionante per un mercato di non grandi dimensioni.
È stato un caso editoriale, Giorgio Faletti, e per lui è stato difficile staccarsi di dosso questa etichetta. Lo raccontava spesso lui stesso, ricordando la sua capacità di fare scelte sbagliate che si rivelavano poi misteriosamente giuste. Quando cominciava a imporsi come scrittore di testi di cabaret ha deciso di salire sul palco per fare il comico; quando era diventato un comico è andato a Sanremo per esibirsi come cantante e per di più con un pezzo assolutamente drammatico; quando si trattava di raccogliere i frutti della sua doppia carriera, complice un piccolo “ictus”, ha deciso di diventare scrittore di thriller. E tutti gli dicevano che sbagliava, che avrebbe fatto meglio a scrivere un libro comico, come tutti gli altri. Avevano stimato che con un libro sui suoi personaggi di “Drive in” avrebbe venduto anche 30 mila copie: con il thriller – ma questo tutti lo escludevano- è arrivato a quattro milioni. “Io uccido” è stato il libro giusto al momento giusto. Era il 2002. Lentamente la letteratura di genere si era imposta anche in Italia, la stagione del thriller era decollata. E tuttavia era soprattutto noir all’italiana, con radici e identità locali forti. Faletti è stato invece il primo a cimentarsi con il thriller di pura e semplice scuola anglosassone. Da lettore di Jeffery Deaver e di altri autori di crime story, ha deciso di raccontare e scrivere come loro. È stato anche il suo limite, se si vuole. I suoi libri sono arrivati in Francia ma negli Usa non li hanno tradotti (anzi ne hanno tradotto solo uno, il più italiano) perché gli editori li trovavano troppo vicini al modello loro, senza quel sapore di Europa che andavano cercando. Poi certo, molto ha contato l’enfasi del lancio. Sette, il settimanale del Corriera della sera, lo mise in copertina scrivendo “È il più grande scrittore italiano”. Di qui tanta ironia, ma i riflettori si sono accesi e il pubblico gli ha dato ragione. E anche quella provocazione va intesa. Era all’interno di una battaglia a favore del romanzo da leggere, del libro che appassiona, della scrittura senza troppi fronzoli. Insomma Faletti era usato come bandiera, e lui ha capito e ha sventolato, anche con gli altri suoi romanzi, da “Niente di vero tranne gli occhi”, fino a “Tre atti due tempi”. Con accenti via via più personali, con una scrittura più attenta, fino alla quasi autobiografia di “Da quando a ora”.
La forza di Faletti è stata il piacere: ha scritto la letteratura che gli piaceva leggere, ha cantato la musica che ascoltava, ha anche dipinto i quadri che gli piaceva vedere. E questo si avvertiva. Era un po’ come il professore che ha interpretato in “Notte prima degli esami”: un uomo tenero e divertito dalla vita, anche se qualche volta si immedesimava nei panni del killer feroce.
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova