Estra, concerto d’addio dove tutto è iniziato A Treviso, sulle mura

TREVISO. Domenica a Treviso, sulle mura, gli Estra scrivono la parola fine: suonano nell’ultima giornata del festival Suoni di Marca (ore 21.30, ingresso gratuito). Cala il sipario sulla band trevigiana - Giulio Casale, Abe Salvadori, Nicola Ghedin e Eddy Bassan – nell’occasione rinforzata dal polistrumentista Stefano Andreatta. Ultimo atto di una storia lunga 24 anni. Scanditi da rock, energia, passione, originalità.
Casale, è proprio deciso?
«Succede alla cose belle, come sono gli Estra. Giusto così, bello così, dove tutto è cominciato, sulla mura. Mamma quanto tempo è passato»,
Il primo demo, “Mentre il mondo era fuori”. Era il 1992.
«E l’avevamo realizzato già l’anno prima. Poi nel 1993 seguì “L’assedio numero due”. Aveva ragione Dylan: ero molto più vecchio allora, oggi sono molto più giovane»
In rete ci sono fan disperati, per la parola “fine”. Lasciate il pubblico sconsolato.
«Ce ne siamo resi conto. Il paradosso è che in molti sono arrabbiati, siamo stati subissati di insulti: inizialmente il concerto era fissato il 2 agosto. Sarebbero arrivati almeno mille fan da Sicilia, Puglia, Sardegna, resto d’Italia. Ora non sappiamo quanti ne arriveranno domenica, sono andati tutti in ferie in questi giorni e chi ha prenotato il volo ci maledice».
Per voi, decisamente, l’etichetta di band di culto ci sta tutta. Alla faccia di chi dice che fuori dal Nordest...
«Come scrivevo a una fan addolorata, è la vita. È stato bello, ce la siamo goduta. A un funerale la musica è molto più triste, no?»
Vi è mancato forse il grande salto: eravate lì lì. Grande critica, zoccolo duro di pubblico, complimenti da molte star. Lì cos’è successo?
«Sarebbe un discorso lungo, troppo lungo. In effetti mi dico che spesso ho sentito, e credo di parlare anche a nome degli altri, che avremmo meritato qualcosa di più, in tutti questi anni. Una band è come un matrimonio: momenti di difficoltà, lo stare insieme, le case discografiche, le incazzature. Ma non ci sono rimpianti».
Come il suonatore Jones di De Andrè. Chiudete con quatro album, un ep, il doppio live, numerose compilation. La creatura preferita di Casale?
«Sono molto affezionato a “Veleno che resta”, l'inedito inciso nel 2014 assieme a “kamikaze politico”».
Viene in mente il “non si apre” di uno dei vostri più grandi successi. In 24 anni forse qualcosa si è aperto.
«So che quel verso se l’è giocato anche il sindaco Manildo, in campagna elettorale, nel 2013, e mi ha fatto piacere. Come suonare allora, per un cambiamento in città»
Di cose, già alla fine degli anni Novanta, ne avete dette anche su quel piano.
«La nostra esperienza è stata segnata anche da quello. Non mi sono sottratto, con Paolini e altri».
Cose offrirete ai fan per l'ultimo atto?
«Tante sorprese, anche brani che non cantiamo da 20 e passa anni».
E poi, cosa farà Giulio Casale, oltre alla spola fra Milano e il Veneto?
«Teatro. Continuo questa bellissima esperienza con Andrea Scanzi, dopo Gaber e De Andrè stiamo pensando a una storia dell’Italia contemporanea, io con monologhi, lui con una parte più narrativa. Partiremo a gennaio, intanto continuiamo il tour 2015. C’è tanto bisogno di raccontare, i giovani sanno poco, pochissimo, della storia recente. E spesso sanno cose sbagliate».
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