Flessibilità e welfare Termo-alberghieri verso nuovi contratti Si tratta a tutto campo

Giorni e mesi di sospensione del lavoratore già avevano reso animata la trattativa tra imprenditori e sindacati del settore termale alle prese con la riorganizzazione dei contratti. Il capitolo ferie ha fatto arenare il confronto, rimesso in moto dal no dell’Inps al Fis (fondo d’integrazione salariale), per i dipendenti con contratto a tempo indeterminato.
Gli addetti del comparto termo-alberghiero non percepiscono ormai da 2 anni l’indennità di disoccupazione nel periodo di bassa stagione in cui è chiuso l’hotel dove lavorano. Il che invece non accade per quanti hanno il contratto a tempo determinato, che hanno ancora diritto alla Naspi e quindi a percepire l’80% dello stipendio alla scadenza del contratto.
La prospettiva ora è arrivare a una divisione a metà degli hotel tra stagionali e annuali e al contenimento dei contratti a tempo indeterminato o comunque a misure, tra ferie, permessi e formazione, che possa consentire al lavoratore di percepire soldi anche quando deve rimanere a casa. «Il punto più complesso su cui trovare una quadratura è legato al concetto di stagionalità; occorre disciplinare le aziende che non passeranno alla stagionalità per trattare i rapporti di lavoro dei dipendenti nei periodi di breve chiusura delle aziende», spiega il direttore di Federalberghi Marco Gottardo, che presiede l’ente bilaterale. «Si sta valutando quante giornate di chiusura siano sufficienti per essere considerati stagionali ai fini contrattuali e ci si sta trovando d’accordo tra le 45 e le 50. Resta invece difficile individuare quante giornate di sospensione non retribuita si possano concedere alle aziende a fronte delle chiusure. La richiesta datoriale parte da 60, anche considerando che attualmente sono 120 le giornate annue in cui i lavoratori con contratto a tempo indeterminato possono essere sospesi senza avere in carico oneri economici. Sono fiducioso si possa trovare una soluzione, magari sperimentale e temporanea, che faccia proseguire la trattativa».
Altro aspetto-chiave, che avrà un ruolo fondamentale nella trattativa, sono « le politiche attive del lavoro, dal welfare e dalla bilateralità».
Ma la controparte, le sigle sindacali Fisascat, Filcams e Uiltucs, è meno ottimista. «Ci siamo lasciati nel precedente incontro con l’affidabilità di un periodo minimo lavorato di 10 mesi e una flessibilità aziendale di 45-50 giornate, nelle quali il datore di lavoro poteva collocare il personale in sospensione senza oneri di alcun tipo», spiegano da Cgil, Cisl e Uil. «Avevamo espresso parere positivo a patto che il lavoratore potesse decidere, sacrificandosi, di tamponare il periodo di sospensione con ferie e permessi, in maniera da potersi garantire quasi la piena occupazione. Nella successione degli incontri, però, ci è stato comunicato che le aziende, durante l’apertura, hanno bisogno di utilizzare almeno una parte di ferie e permessi nei periodi di minor lavoro. Questo purtroppo sta modificando gli equilibri della trattativa. Non siamo assolutamente d’accordo che i lavoratori debbano rimanere a casa senza copertura retributiva e contributiva, come succede ormai da 2 anni, dopo il no alla Fis. Questa situazione, con lo spostamento in avanti dei requisiti pensionistici, alla lunga avrà ricadute pesanti sulle strutture alberghiere, per l’invecchiamento degli addetti».
Fisascat, Filcams, Uiltucs rimangono fiduciosi e stanno «condividendo l’idea fra le parti di realizzare, tramite la bilateralità, un complesso formativo ad hoc per la riqualificazione di quelle figure professionali di cui il territorio ha la necessità, considerata e condivisa la sempre crescente necessità di reperire lavoratori professionalmente motivati». —
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