Frenata del ministero al lavoro in carcere La Giotto: «Assurdo»

Più di 300 detenuti del carcere Due Palazzi nel corso degli ultimi 10 anni, attraverso il lavoro hanno riconquistato la loro dignità di uomini, padri, mariti.
Sono quelli della nota pasticceria Giotto, del panettone famoso in tutta l'Italia, del dolce di Sant'Antonio. Ad oggi 22 di loro lavorano nella mensa del carcere, insieme a 6 persone non detenute (maestri chef e psicologi) e altri 100-130 tra pasticceria, costruzione bici, assemblaggio, valigeria Roncato, call center con gli ospedali di Padova e Mestre e per una società di Bologna. Tutti rischiano il licenziamento.
Era il 2003 quando la Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) del Ministero della Giustizia avviava questa sperimentazione in 10 carceri. Il finanziamento era ministeriale, la gestione affidata alle cooperative (Giotto per Padova). Nel 2009 i fondi passano alla Cassa delle ammende (l'ente del Ministero della giustizia che finanzia i programmi di reinserimento per i carcerati) e i risultati sono così sorprendenti che a marzo di quest'anno si parla di strutturare il servizio superando la lunga fase sperimentale. Tutti sono soddisfatti: il Ministero, le direzioni dei penitenziari, i detenuti e le cooperative.
Poi il buco nero della burocrazia: a fine anno scade il termine del servizio che, appunto, doveva essere rinnovato stabilmente, ma dal Ministero arriva solo un assordante silenzio. Scrivono i direttori (due lettere, una a luglio e l'altra ad ottobre), scrivono le cooperative, tutti chiedono di incontrare il ministro Orlando, che si nega. Arriva solo una proroga fino al 16 gennaio. Resta il timore che uno straordinario progetto, che ha fatto del Due Palazzi una star della pasticceria, vada perduto.
«Non riusciamo a capirne le ragioni», si sfoga Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa Giotto, «questo progetto è positivo da qualsiasi parte lo si guardi». Cominciamo dal risparmio: «I lavoratori addetti alla cucina guadagnano tra gli 800 e i 1100 euro», riferisce, «a seconda del ruolo, della mansione e dell'anzianità. Lo Stato trattiene le spese di mantenimento, un quinto per le spese legali e per i risarcimenti alle vittime e i detenuti possono adempiere anche economicamente ai ruoli di padri e mariti, invece di umiliarsi a chiedere le 100 euro sulla pensione dei genitori per pagare gli alimenti dei figli». Non solo.
Per 1 milione di euro investiti sulla riabilitazione dei detenuti, lo Stato ne risparmia 9, che potrebbe spendere per esodati e disoccupati. Poi c'è il “guadagno” sociale: «I detenuti ci vengono segnalati dalla direzione», rivela Boscoletto, «ma dal momento che lavorano con noi si trovano soggetti a tutte le regole del mercato libero e si allenano alla realtà esterna. Il risultato è che quasi tutti i nostri collaboratori hanno continuato a lavorare dopo aver scontato la pena con una recidiva di appena il 2%». «Il territorio, privato e pubblico, ci sostiene – aggiunge Boscoletto - mentre il Ministero tira via la mano. Ieri sera, per l'ennesima volta, abbiamo chiesto un incontro con ministro, per capire la prosecuzione dopo 16 gennaio».
Elvira Scigliano
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