Golardia: il maiale portato in dono a Spadolini, medici per Scalfaro e il falso Rubens

Padova. Gli scherzi passati alla storia raccontati da Salviati, oggi docente di Genetica medica e direttore della scuola di specialità

PADOVA.

All’epoca goliardi scatenati, adesso tutti o quantomeno tanti, luminari nella stessa università, professionisti, diplomatici, notai, letterati, ricercatori comunque affermati nelle loro professioni. I goliardi. Giusto per un cenno storico, e attingendo all’esaustiva tesi di Micaela De Col , laureatasi nel 1994, con “Usi e costumi della goliardia patavina dalla fine del XIX secolo ad oggi”, il termine goliardia entrò nella lingua ufficiale della chiesa per indicare i clerici vagantes, nel Medioevo sorta di intellettuali vagabondi (che avevano gli ordini minori e relativi privilegi) che seguivano i loro maestri preferiti o andavano dove tenevano cattedra professori di grido. Era famosa la loro passione per vino, amore e dintorni fatti di mangiate e beffe verso l’autorità costituita. Da qui alla goliardia (il termine nell’uso comune risale all’Ottocento) il passo è lungo temporalmente ma breve nella sostanza. Ché la goliardia padovana è stata maestra di scherzi, burle, beffe non importa se ai danni del rettore o del presidente della Repubblica, davanti allo scherno sono tutti uguali.

La lima a Fontana

A raccontare con inalterata goduria alcuni degli scherzi più famosi della goliardia padovana è Leonardo Salviati, 49 anni, docente di Genetica medica e direttore della Scuola di specialità. La sua narrazione è tutta un rincorrersi di “quella volta che...”. «Che all’inaugurazione dell’anno accademico nel 1992, subito prima di Tangentopoli, siamo entrati tutti eleganti con una valigetta in mano. C’era il ministro Sandro Fontana: dalla valigetta, nascosto in un angolo, ho tirato fuori una divisa da carcerato e mi sono cambiato. Vestito così ho regalato al ministro una lima, nel caso avesse dovuto evadere. Lui ha reagito... così e così». Poco tempo dopo fu raggiunto da un avviso di garanzia.

Gigi il porseo

E quella volta che «era il 1991 sempre all’inaugurazione dell’anno accademico: arriva Giovanni Spadolini. Noi entriamo al Bo con una gabbia con dentro un porcello dotato di regolare invito alla cerimonia. Avvertiti di quello che stava per succedere, sono corsi da noi il segretario di Spadolini, Bruno Bandoli che era capo gabinetto al Bo, ex goliarda che ci guardava con aria benevola ma era preoccupatissimo, il questore del Bo e il questore vero. Abbiamo raggiunto un accordo, potevamo portare il porcello che avevamo chiamato Gigi ma guai a farlo uscire dalla gabbia, ci saremmo presi denunce tutti. E così è stato. Spadolini si divertì un mondo e venne con noi a bere al bar da Mario al Bo. Quando ripartì, si portò con sé il porcello. Lo sistemò nella sua casa in Toscana e anni dopo il nostro “porseo Gigi”, nel frattempo diventato un maialone gigantesco, abbatté la porta della porcilaia e scappò: pare che in quel frangente si fossero mobilitate tutte le forze dell’ordine possibili per ritrovarlo».

Arriva Scalfaro

Il presidente Scalfaro in visita nel marzo 1993 riceve da Salviati in persona, vestito in camice bianco, un kit di pronto soccorso “istituzionale”, clistere in primis, per risolvere controversie e problemi. «Poi io ho preso Scalfaro sotto braccio e l’ho portato da Mario: successe il disastro, tutti mobilitati». «Era così divertente, passavamo molto tempo in Tribunato o da Mario a pensare e organizzare scherzi nel dettagli. Ci siamo perfino intrufolati a un pranzo privatissimo del rettore al Bo, ma si è divertito anche lui. Poi, il giorno della laurea, quando all’uscita ho visto il portone chiudersi dietro di me, ho capito che era finita. Iniziava un’altra vita», racconta con un filo di malinconia.

Il falso Rubens

«E quella volta che Luca Ruffo, tribuno nel 1991, in occasione della mostra su Rubens in corso a Padova organizzò una finta conferenza spacciandosi per un docente rumeno (era appena caduto Ceausescu). Denunciò pubblicamente che uno dei Rubens in mostra era falso perché lui aveva visto l’originale appeso nello studio di Ceausescu. La curatrice della mostra padovana quando seppe la faccenda ci credette e successe un putiferio», aggiunge Salviato. E, ultimo ma solo perché non c’è più spazio, «l’annuncio che Claudia Schiffer arrivava a Padova per inaugurare una profumeria Beghin. Mobilitazione generale, ressa. Noi portammo Tatiana Clementi, una bellissima ragazza al posto della Schiffer». —

Alberta Pierobon


 

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