I 90 anni a tutto cinema di Gian Luigi Rondi

VENEZIA Adora il cinema, specie quello italiano, veste bianco e nero perchè in qualche modo rispecchia il suo carattere e mette al primo posto come virtù da cavalcare, il riserbo. Questo non è che...

VENEZIA

Adora il cinema, specie quello italiano, veste bianco e nero perchè in qualche modo rispecchia il suo carattere e mette al primo posto come virtù da cavalcare, il riserbo. Questo non è che un quadro ridottissimo di Gian Luigi Rondi, novant’anni domani, decano dei critici e grand commis del cinema italiano, di cui ha incessantemente perorato la causa come presidente del David di Donatello.

«Il cinema - dice, raggiunto nella sua residenza romana - ha significato moltissimo se non tutto per me. Già nel 1947, non contento di essere critico, ho cominciato ad inventare festival e dirigere quelli già esistenti. E poi ci sono stati i premi De Sica, che vengono presentati ogni anno in Quirinale, e poi i David di Donatello».

Il motivo dei suoi tradizionali vestiti neri accompagnati da sciarpa bianca, Rondi, che è nato a Tirano (Sondrio) nel 1921 ed è laureato in giurisprudenza, lo spiega così: «Quando sono stato direttore della Mostra del Cinema di Venezia, nel 1971 e 1972, persi mio padre e così mi misi a lutto. Da allora quella “mise” divenne per me una specie di uniforme. Quella che comunque si adattava meglio al mio modo di essere riservato e silenzioso. Poi ho pensato di metterci su una sciarpa, che mi ricordava anche il bianco e nero del cinema. Certo a volte mi ritrovo a mettere la colorata divisa del Sovrano Militare Ordine di Malta, ma questo caso è diverso: si tratta uniformi».

E Rondi, a cui non manca l’autoironia, ricorda la sua passione per le decorazioni (ha anche la Legion d’onore francese), una vera mania che è diventata anche un pezzo di storia del cinema.

«Mio fratello Brunello, mettendo mano alla sceneggiatura di «Ginger e Fred» di Fellini, inventò, pensando a me, un personaggio che era l’uomo più decorato d’Italia, tanto da doversi fare uno smoking allargato».

Rondi, presidente del Festival di Roma e da marzo commissario straordinario della Siae, non sopporta invece «il chiasso, la presunzione e l’arrivismo», mentre il regista che ama di più è sicuramente Federico Fellini.

«Lui è quello che ha inventato un nuovo modo di fare cinema, anche se nella sua opera ci sono delle lacune. Una cosa che scrissi ai tempi, cosa che non piacque allo stesso Fellini». Il suo film preferito è invece «La notte di San Lorenzo» dei Fratelli Taviani.

Cosa è importante nella vita di Rondi, che è stato anche sceneggiatore con registi come Pabst, Mankiewicz, Clair e Wajda e regista di documentari di carattere storico?

«La coscienza di continuare a stimarsi sempre. Sono cattolico e faccio spesso esame di coscienza. Non solo in quanto cattolico, ma come cittadino. Per me è davvero importante, mi guardo spesso attorno e vedo con insofferenza un mondo che non mi piace. Gente a caccia di denaro con i mezzi più subdoli possibile».

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