I 95 anni di Vittorio Ometto l’alpino scampato al lager Un libro racconta la sua storia

VILLA DEL CONTE. Il cappello da alpino stretto tra le mani, come fosse una parte di sé. Vittorio Ometto, 95 anni, ci accoglie in cucina per raccontarci la sua storia. Accanto a lui la moglie Zita si commuove ancora ascoltando i racconti del marito. Vittorio è l’ultimo tra gli alpini, sopravvissuto all’internamento nei lager nazisti. La forza di raccontare quella terribile esperienza gli viene dalla consapevolezza dell’importanza di far conoscere alle nuove generazioni un dramma che non deve ripetersi.

in guerra a 16 anni

Il valore della sua testimonianza lo ha intuito Maria Serafin: «All’inizio pensavo di scrivere un libro per Vittorio e per i suoi nipoti, ma mentre lo scrivevo mi sono resa conto di quanto fosse importante far conoscere questa, che è una storia esemplare, anche ad altri e in particolare agli studenti», spiega l’autrice, che di Vittorio è vicina di casa. Il libro, dal titolo “Prigioniero in un lager” (ed. Bertato), è già alla 2ª ristampa e il ricavato va in beneficienza.

«A 16 anni fui chiamato per l’addestramento di marcia in preparazione alla chiamata alle armi – racconta – ma io e il mio migliore amico, essendo orfani di padre, ci presentammo solo la prima mattina. Dovevamo lavorare nei campi, eravamo contadini. Ricordo ancora quando, dopo aver ricevuto l’ordine tassativo di ripresentarci al distretto militare di Padova, fummo presi a calci dal colonnello per non aver onorato la Patria, mentre le guardie fasciste ci puntavano le pistole alla fronte e ci costringevano a bere olio di ricino». Vittorio partì in guerra il 12 aprile 1943, assegnato al Battaglione Alpini d’arresto a Ugovizza, vicino Tarvisio.

otto settembre

Ma appena cinque mesi dopo arrivò l’8 settembre e l’esercito italiano fu abbandonato a se stesso. Per Vittorio ed i suoi compagni non ci fu altra soluzione che issare bandiera bianca. «I tedeschi ci condussero a Camporosso e ci dissero che ci avrebbero portati a Roma – racconta Vittorio –. Per convincerci le guardie tedesche posizionarono la motrice del treno in direzione Italia ma, quando salimmo sui vagoni, la motrice fu riposizionata in direzione nord, verso la Germania. Dopo 7 giorni di viaggio, senza cibo né acqua, arrivammo al campo per internati militari Stammlager XI-B, vicino Fallingbostel, in Sassonia».

prigionia

Lì Vittorio e i compagni lavorarono nelle officine belliche. «Mi capitò di occuparmi anche del recupero di cadaveri. Dovevamo lavarli e portarli in un ambulatorio dove i medici tedeschi li utilizzavano per esperimenti – continua –. Ricordo quando trovai il corpo di un commilitone e l’unico pensiero fu quello di togliergli le scarpe: da quindici giorni camminavo con una scarpa sola perché l’altra era senza suola».

Vittorio venne spostato in diversi campi: «Uno dei lager era vicino ad un campo nel quale erano detenuti gli ebrei. Il giorno prima dell’arrivo degli alleati scampai per un pelo alla fucilazione assieme ad alcuni compagni. I tedeschi ci avevano già disposti in fila in mezzo alla strada e riuscimmo a scappare approfittando di un momento di confusion e».

La liberazione avvenne il 19 aprile 1945: «Noi, però, tornammo a casa solo a settembre. Arrivai a casa alle 2 di notte di un martedì che non dimenticherò mai: il mio cane e il mio cavallo, nonostante fossi assente da un anno e mezzo, mi riconobbero, saltarono lo steccato e mi corsero incontro per farmi festa. Poco dopo uscì pure il nonno, svegliato dal rumore degli animali. Mi disse “Ciao Vittorio, sei tornato finalmente! Vieni nella stalla che ti faccio vedere i lavori che ci aspettano domani mattina». Da quel momento ripresi a vivere». Per acquistare il libro “Prigioniero in un lager” contattare l’autrice al numero 3484311577. ––

Martina Mazzaro

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