I favori di Consoli a Pavan per vendere 173.317 azioni

L’indagine Consob sull’ex presidente di Permasteelisa che ha incassato 6 milioni Il giallo delle opere d’arte comprate per 14 milioni di euro e svalutate dell’80%
Di Renzo Mazzaro

PADOVA. Nel caveau di Veneto Banca ci sono opere d’arte, soprattutto dipinti e sculture, per un valore complessivo di 14.069.981 euro. Sono il frutto di una politica culturale espressamente voluta e avviata negli anni da Vincenzo Consoli. Un benemerito, si direbbe. Peccato che all’esame degli esperti di due case d’asta, incaricati di una valutazione dalla stessa banca sul finire del 2015, più che opere d’arte risultino croste: il loro valore crolla fino all’80% della cifra iscritta a bilancio. Difficile che si tratti di un “bidone” rifilato alla banca. La Guardia di Finanza che ha condotto l’indagine ritiene che siano beni postati in eccesso per gonfiare il patrimonio.

Salta fuori anche questo dalle 86.500 pagine che contengono le consulenze disposte dalla procura di Roma sul crack della popolare di Montebelluna. Aspettando la commissione parlamentare d’inchiesta, questa montagna di carte arriva ai risparmiatori truffati grazie all’intraprendenza di tre padovani: l’avvocato Rodolfo Bettiol, il tributarista Loris Mazzon e il presidente dell’associazione “Ezzelino III da Onara” Patrizio Miatello. A quanto pare sono gli unici ad aver avuto accesso agli atti, per la scelta di costituirsi parte lesa nel processo per aggiotaggio.

Il sipario si apre anche sui nomi degli “amici degli amici” che hanno potuto evitare il disastro, sbarazzandosi in tempo delle azioni che crollavano. E che hanno potuto farlo grazie all’intermediazione decisiva della banca, comportamento non consentito ma sollecitato personalmente da Consoli. E’ il caso del trevigiano Enzo Pavan, che si rimette in tasca contanti per 6.869.721 euro, corrispondenti a 173.317 azioni di VB, rifilate con un rocambolesco giro d’Italia ad un cliente di Bancapulia, peraltro consenziente e ben ricompensato. Il tutto scavalcando 2450 risparmiatori in lista per vendere prima di lui, rimasti ancora a bocca asciutta.

Qui l’indagine è della Consob. Enzo Pavan è stato fino al 2006 presidente di Permasteelisa, la multinazionale tascabile fondata da Massimo Colomban e poi di fatto regalata attraverso stock option a 83 soci. Pavan era uno di loro e si dette subito da fare per rastrellare le azioni dei colleghi, con lo scopo non dichiarato di vendere l’azienda. In pratica distruggendo il gioiellino del fondatore, che di lui non ha conservato un grande ricordo. «Se tornassi indietro», dice Massimo Colomban, oggi assessore alle Partecipate del Comune di Roma con la sindaca Virginia Raggi, «a tre di quei soci non lascerei nulla. Il primo è proprio Pavan».

Non la pensava così Consoli, che per favorire Pavan mette in moto mezza Italia. Pavan aveva il conto nella filiale VB di Pordenone, dove un dirigente, Massimo Pasut, riceve l’ordine di contattare la filiale di Avellino di Bancapulia (un istituto controllato da Veneto Banca). Ad Avellino è cliente un certo Gennaro Pascariello, il quale viene convinto dal vicepresidente di Bancapulia Errico Ronzo a comprare le azioni dello sconosciuto Pavan in cambio di trattamenti di favore: «Concessione di finanziamenti pronto contro termine a tassi estremamente favorevoli, sottoscrizione di obbligazioni VB ad elevato rendimento, concessione di finanziamenti».

Succede anche che sbagliano modulo per il trasferimento delle azioni. La direzione generale di Montebelluna non esita a spedire ad Avellino un autista con il modulo corretto, precompilato in busta chiusa, da far firmare di nuovo al signor Pascariello. Il giorno dopo l’autista torna a prendere il plico: è l’8 ottobre 2014, le azioni VB valgono 39,50 euro. Il 7 aprile 2015 il Cda di Montebelluna sarà costretto a far scendere la quotazione a 30,50 euro, con il vicepresidente Alessandro Vardanega contrario, che minaccerà le dimissioni. Sarà l’inizio del capitombolo.

A raccontare il retroscena campano-pugliese agli ispettori della Consob è il direttore generale di Bancapulia Paolo Murari. Va da sé che il vicepresidente Errico Ronzo non lavorava gratis: Consoli gli fa avere una parcella di 52.125 euro, di cui solo 4.545 giustificati come spese.

«Su un campione preso in esame di 35 cessioni di azioni VB tramite privati», si legge nella relazione, «è stata riscontrata la presenza di comportamenti proattivi della banca in 10 trasferimenti, pari al 29% del campione».

Più lineare la vicenda delle opere d’arte trasformate in croste, anche se resta la curiosità di sapere la provenienza, non dichiarata. In tutto sono 462 opere, valore minimo di ciascuna 30.000 euro. A prendere la decisione di acquistarle è quasi sempre Vincenzo Consoli, o la direzione generale, o il Cda. Più raramente organi interni della banca. A proporre l’acquisto è l’ex direttore del Museo Civico di Treviso, Eugenio Manzato. Veneto Banca lo recluta il 1° marzo 2002 come consulente artistico con un contratto di collaborazione annuale e 2000 euro di parcella al mese. Il rapporto va avanti fino al 1° gennaio 2009 quando Manzato si licenzia.

Questa politica culturale era stata inaugurata con una delibera del 12 giugno 2001, che prevedeva l’istituzione di un organismo consultivo composto da esperti. Mai istituito. Non solo: gli acquisti vengono spesso deliberati dopo che sono avvenuti. Nel secondo semestre 2015, probabilmente con la presidenza di Pigi Bolla e Cristiano Carrus dg, la banca chiede a due case d’asta internazionali, Bonhams e Sotheby’s, di valutare 42 opere. Valore di acquisto di 5.027.055 euro. Bonhams stima: valore minimo 616.000 euro, valore massimo 964.300. Perdita tra il 68% e l’80 per cento. Abbattimenti analoghi nella stima di Sotheby’s.

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