Il Casale dei Longobardi tra Adige, Euganei e Berici

Basta la parola. Casale di Scodosia presenta le proprie credenziali fin dal nome composito che la contraddistingue: Casale, per indicare una struttura urbanistica diffusa, sparsa nel territorio, senza un vero centro aggregante; Scodosia, per suggerire l’eredità longobarda fissata nella Sculdascia, vale a dire un singolare istituto sia giuridico che amministrativo studiato espressamente come meccanismo di ingegneria costituzionale per regolamentare la vita di sudditi già alquanto irrequieti di loro. Oggi, in epoca di riforme istituzionali tanto evocate quanto incompiute, lo si potrebbe definire un prototipo di federalismo, o quanto meno una forma avanzata di “devolution”. Tutto nasce dalla struttura sociale longobarda, che fa sì capo ad un re (carica peraltro elettiva, non ereditaria), ma prevede una rete di duchi tendenzialmente insofferenti della sua autorità, e che in casa loro mirano a fare quello che vogliono. Così, agli inizi del Settecento, quello che viene considerato il migliore dei loro sovrani, Liutprando (“padre della nazione, accrescitore delle leggi”, lo definisce Paolo Diacono nella sua celebre storia dei longobardi) mette mano a un’ampia riforma legislativa, nell’ambito della quale crea la figura dello “sculdascio”, parola derivante dall’antico tedesco “schuld”, debito, e “heyssen”, imporre.
Si tratta, all’atto pratico, di un funzionario che deve rispondere sia al re che al duca, e che è il capo di un vasto territorio caratterizzato dalla presenza sia di guarnigioni militari che di insediamenti civili i cui abitanti, in cambio della fedeltà al sovrano, ottengono delle terre da coltivare, e altre in uso comune adibite a bosco e a pascolo. In tal modo il potere centrale lascia un’ampia autonomia ai territori periferici, ma al tempo stesso si assicura un controllo in una serie di ambiti strategici, a cominciare da quella che oggi chiameremmo la difesa. La sculdascia in cui viene inclusa Casale è molto ampia: come confini ha i Colli Berici a nord, gli Euganei a est e l’Adige a sud; tenendo presente, a proposito di quest’ultimo, che il suo corso all’epoca è situato più verso settentrione rispetto a quello attuale.
Alle spalle, tuttavia, il territorio ha già una lunga e significativa storia, che sulla base di reperti rinvenuti in zona si può far risalire addirittura al secondo millennio avanti Cristo. Il paese usufruisce di un periodo di particolare rilevanza con i romani, anche per il fatto di essere attraversato da una delle principali infrastrutture dell’epoca, la via Emilia, che sale verso Aquileia, tra i principali centri del Nordest dell’impero. Tra le testimonianze di quel periodo, da citare un altare dedicato a Giove, e in località Vallerana un “vallum”, argine fortificato a scopo di difesa. Per un breve periodo Casale fa parte del ramo orientale dell’impero, ma poi arrivano i longobardi, che vi rimangono per qualche secolo. Le prime tracce della ripresa dopo la loro partenza si trovano poco dopo l’anno Mille, quando alla chiesa di Santa Maria “de vico Casale” viene riconosciuto il diritto di esercitare influenza su quelle di Urbana e di San Salvaro; ma tra il Duecento e il Trecento la comunità conosce una tormentata stagione di guerre e di epidemie che la riducono in ginocchio, e che si risolve solo con l’avvento della Serenissima, grazie ai vasti interventi di bonifica che recuperano pressoché l’intero territorio all’attività agricola.
Anche qui, come in tanti altri centri della campagna, la Repubblica lascia il segno non solo nella gestione fondiaria, ma anche sotto l’aspetto edilizio: la principale testimonianza è la villa di Altaura (dove in precedenza si estendeva la palude della Zudolenga), commissionata dalla nobile famiglia veneziana dei Correr che intende farne una delle sue residenze estive. Venezia sviluppa in particolare la coltivazione della canapa, destinata ad alimentare i cantieri navali dell’Arsenale. Nel 1597 Casale, seguendo l’esempio di Saletto, Megliadino e Merlara, decide di aderire alla “Magnifica Comunità di Montagnana”. Caduta la Serenissima, il periodo della dominazione austriaca è segnato in zona, come in buona parte della Bassa padovana, dalla diffusione del brigantaggio, alimentato in particolare dai renitenti alla leva che negli appositi registri comunali vengono indicati col nome di “perlustrati”. A Casale, diventa famoso un certo Stella, capo riconosciuto di un temibile clan locale. Feroce la repressione ordinata dal feldmaresciallo Radetzky in persona a partire dal maggio 1849, con l’istituzione tra l’altro ad Este di un tribunale apposito itinerante che gira per la Bassa processando e condannando i banditi arrestati, cui porge gli ultimi conforti religiosi un frate camaldolese, padre Bonaventura.
La fine dell’Ottocento vede anche Casale subire un pesante salasso di emigrati spinti dalla miseria. La situazione migliora solo con il secondo dopoguerra, grazie allo sviluppo di una serie di attività tra l’artigianato e l’industria che ne rilanciano l’economia: in particolare nel settore del mobile d’arte, che prendendo l’avvio dai classici piccoli laboratori a carattere familiare ha via via assunto dimensioni e caratteristiche di un vero e proprio distretto, assieme alle veronesi Cerea e Bovolone, la cui notorietà ha superato i confini del Veneto. Parallelamente, si è andato consolidando un mercato dell’antiquariato avviato fin dal 1969, e che annualmente propone una tra le mostre di maggior richiamo del settore, con una settantina di stand e un centro servizi. Come precursori di questo filone del mobile di imitazione vengono proposti due nomi, Frison e Martinello, allievi di un riconosciuto maestro di falegnameria, Giorgio Santagiuliana, e che poi decidono di mettersi in proprio, trovando presto molti imitatori. Nel decennio tra il 1965 e il 1975 sorgono in paese un centinaio di nuovi laboratori, e pochi anni dopo vengono censite 250 aziende artigiane con oltre 2mila occupati. Un segno di vitalità e di intraprendenza che gli stessi tenaci longobardi avrebbero invidiato.
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