Il falegname e re dei rifugi Un mattatore fra arte e tecnica

Redento Barcellan (nella foto sotto) è un artigiano sopraffino, un maestro d'altri tempi che ha messo la firma su opere diverse tra loro dando sfoggio di padronanza del mestiere. Nato a Saccolongo...
BARSOTTI - INTERVISTE REDENTO BARCELLAN
BARSOTTI - INTERVISTE REDENTO BARCELLAN

Redento Barcellan (nella foto sotto) è un artigiano sopraffino, un maestro d'altri tempi che ha messo la firma su opere diverse tra loro dando sfoggio di padronanza del mestiere. Nato a Saccolongo nel 1925 e residente a Padova dagli anni '50, su 88 anni di vita ne ha passati 80 a lavorare in falegnameria, tra pialle, torni, roncole, seghe di ogni tipo, una miriade di arnesi per carpentieri e falegnami. Un giro all'interno del suo regno, che occupa buona parte della sua casa, toglie il fiato. Ora fa vita più ritirata a Luvigliano, in una casa in stile alpino di cui ha costruito tetto, balconi e rifiniture. Una bazzeccola, per uno che per 50 anni è stato mattatore nel suo campo in particolare in ambito alpinistico, con 120 bivacchi realizzati fra il 1952 e il 1999, ristrutturazioni e rivestimenti interni e degli arredi di rifugi delle Dolomiti, iniziando nel 1946 dal mitico Locatelli, di proprietà del Cai di Padova sotto le Tre Cime di Lavaredo. Ma non solo: interni di chiese (Antonianum, Sacro Cuore di Abano), cabine in legno per il porto di Venezia, i battenti delle porte del Policlinico, il modello in legno della Madonna dei Noli di piazza Garibaldi, le travature per i ponti girevoli di Oriago, un modellino in legno in scala 1 a 8 del Teatro anatomico del Bo, esposto a Chicago. E perfino due biciclette in legno di cui una, fatta nel 1943, viene annualmente portata in sfilata a Creola di Saccolongo. «Ho iniziato a lavorare a 8 anni, in bottega con mio padre che riparava attrezzi agricoli» ricorda Redento, occhi vispi, vitalità invidiabile e memoria di ferro. «Poi sono andato apprendista falegname da vari artigiani, prima di aprire un mio laboratorio a San Biagio di Teolo. Lì, conoscendo il cavalier Aldo Peron, ho iniziato a lavorare per il Cai». Come mai i suoi bivacchi hanno avuto tanta fortuna? «Perché sono solidi e facili da montare perfino da due persone. Ricordo di aver stupito degli svizzeri, costruendone uno per loro in una giornata, lavorando in quota e dormendoci dentro la notte». Ma tra lavoro e alpinismo è riuscito a farsi una famiglia? «Come no. Ho moglie e tre figli. Le dirò di più: mia moglie Carla l'ho conosciuta lavorando in montagna. Nel 1967, a Cortina, mentre camminava con un'amica ed io tornavo dalla Val Gardena. Le ho aiutate a raggiungere un rifugio e sono tornato a prenderle in macchina il giorno dopo. Poi l'ho invitata sul Gran Sasso per montare un bivacco. Non è una proposta molto frequente, capisco, ma con lei ha funzionato». (si.va.)

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