Il Labirinto veneziano in cui smarrirsi con Marina Gasparini

VENEZIA. È un diario personale su Venezia, sulla sua forma urbis, sulle presenze artistiche che l’hanno segnata e popolata nel tempo, ma anche, in fondo, una guida estetica al mistero e al fascino di questa città, il “Labirinto veneziano” descritto da Marina Gasparini Lagrange.
Che è appunto il titolo del volume della scrittrice e studiosa venezuelana - di casa ormai da parecchi anni in laguna - appena uscito per i tipi della Moretti e Vitali. «Forse mai come in questo straordinario labirinto uno scrittore si è così completamente perduto per potersi felicemente ritrovare», scrive Giorgio Agamben a proposito di Venezia e di questo percorso visivo e narrativo, che parte in una notte d’estate, “sperdendosi” in una sequenza di “sotoporteghi” e si sviluppa, appunto, intorno all’idea archetipica del labirinto e alle sue infinite declinazioni, senza dimenticare di citare, naturalmente il “Parsifal a Venezia” di Giuseppe Sinopoli. Ma l’itinerario di Marina Gasparini si sviluppa poi lungo il filo della storia artistica e letteraria, comunque legata a Venezia, per suggestioni e rimandi. Dalle carceri del veneziano Piranesi, «spazi dell’anima, più che dell’architettura». Al mito di Apollo e Marsia rivissuto nei colori e nei toni del Tiziano tardo che lo dipinse con suprema maestrìa. Passando, via, via, per le Gallerie dell’Accademia e il Ritratto di giovane di Lorenzo Lotto e la sua introspezione psicologica. Per i suoi visitatori privilegiati e affascinati, da Marcel Proust a Josif Brodskji. Per il canoviano Orfeo ed Euridice, conservato al museo Correr. In mezzo a tutto ciò, naturalmente Venezia, con l’alternarsi delle stagioni, i rintocchi della campane della Marangona, la Palla d’Oro della Fortuna che sormonta la Punta della Dogana, i silenzi delle notti invernali di nebbia. Non c’è in questo libro, l’altra faccia di Venezia, quella sudata, scamiciata, eccessiva, del turismo che la soffoca e progressivamente la sta distruggendo, sotto il mito di un’apparente opulenza che è destinato a generare. «Con l’arrivo dell’autunno Venezia recupera la sua intimità», scrive non a caso l’autrice, segnando una netta linea di demarcazione con l’«altra» Venezia, quella in cui si sceglie di non sperdersi nel suo labirinto. (e.t.)
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