Il Michelangelo ricomposto grazie alla tecnologia 3D

È a Venezia l’opera giovanile restaurata dall’Opificio delle Pietre Dure
Di Enrico Tantucci

VENEZIA. Il Michelangelo perduto, ritrovato e ricomposto. Sembra un romanzo, la storia del San Giovannino attribuito al grande artista rinascimentale che da domani sarà esposta a Venezia a Palazzo Grimani (fino al prossimo 23 febbraio) e che oggi - dalle 10 alle 17, nella stessa sede - sarà al centro di una Giornata di Studio dedicata al suo restauro e all’attribuzione dell’opera.

Dopo un oblìo durato quasi ottant’anni, la statua marmorea raffigurante San Giovannino, di proprietà della Casa Ducale di Medinaceli - istituzione culturale sivigliana che si occupa della conservazione di opere d’arte - torna visibile al pubblico.

L’opera giovanile di Michelangelo si trovava nella nicchia sull’altare della cappella funeraria di Francisco di Los Cobos de El Salvador di Úbeda, in Andalusia, e lì restò fino al 1936 quando fu fatta in pezzi dalla furia iconoclasta durante la guerra civile spagnola. Dal 1994, i suoi resti furono affidati alle mani sapienti dei restauratori dell’0pificio delle Pietre Dure di Firenze e lì hanno “dormito” per quasi vent’anni.

I 14 frammenti originali rimasti - come spiegano le restauratrici Paola Lorenzi e Franca Sorella - non combaciavano e non c’erano tecnologie e documentazione sufficienti per tentare una ricostruzione. Ma nel 2011 la situazione è cambiata, sono spuntate fuori vecchie fotografie d’epoca che mostravano finalmente il San Giovannino intatto, e soprattutto è stato possibile utilizzare per la prima volta per un “caso” come questo, metodologie di scansione digitale tridimensionale all’avanguardia. Così la statua - originale circa per il 60 per cento - è stata ricostruita.

Il modello virtuale, elaborato sulla scorta delle fotografie antiche, ha consentito di ricomporre i frammenti in cui era ridotta la scultura, determinandone l’esatta posizione nell’insieme.

«I pezzi aggiunti e volutamente riconoscibili - spiega la soprintendente del polo museale veneziano Giovanna Damiani - sono legati al resto, intorno a un’”anima” d’acciaio che sorregge la scultura, da calamite, perché essi possano essere tolti e sostituiti da altri frammenti originali dell’opera che fossero ritrovati.

L’opera viene esposta a Venezia, prima di tornare in Spagna, a Ubeda, anche perché Michelangelo passò in laguna proprio nel periodo giovanile in cui la scultura fu realizzata». A spiccare è solo il colore più scuro dellsa testa, dovuto al fatto che - sfortuna nella sfortuna – oltre a essere staccata dal resto del corpo, rimase “cotta” in un incendio che colpì la chiesa.

Ma come ha fatto il San Giovannino a finire in una piccola chiesa andalusa?

Soprattutto dopo aver fatto perdere per secoli tracce di sé, visto che le biografie michelangiolesche, sin da quella di Ascanio Condivi, stesa sotto la diretta supervisione del maestro, riportano la notizia, ripresa da Vasari nella seconda edizione delle Vite (1568), che egli eseguì in marmo tra il 1495 e il 1496 un San Giovannino per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici?

È stato lo storico dell’arte Francesco Caglioti - a cui si deve anche l’attribuzione a Michelangelo - a scoprire la sua storia, partendo dalla biografia di Condivi e dalla ricerca archivistica condotta dallo studioso.

Caglioti ha scoperto, dunque che la statua - prima commissionata a un Michelangelo ventenne - fu un dono speciale che Cosimo I de’ Medici inserì tra i preziosi omaggi inviati in Spagna a Francisco de Los Cobos, personaggio chiave della politica e della diplomazia imperiale spagnola in Italia, per il sostegno ricevuto nella sua scalata al potere sia dall’ Imperatore Carlo V, che dal suo potentissimo Primo segretario.

Francisco de Los Cobos, coltissimo e appassionato collezionista, a cui non fecero mancare riconoscimenti artistici i Signori delle diverse corti italiane, fu dunque “gratificato” del San Giovannino.

Che ora, ricomposto, sta per tornare nella sua «casa» spagnola.

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