«Il mio Presagio tra il Lido e la storia»

Andrea Molesini presenta oggi in anteprima nazionale il suo nuovo romanzo
Di Nicolò Menniti-ippolito
Pivato Interpress Venezia, 19.09.2011.-Il vincitore del Premio Campiello 2011 Andrea Molesini.- Pivato Interpress Venezia, 19.09.2011.-Il vincitore del Premio Campiello 2011 Andrea Molesini.-
Pivato Interpress Venezia, 19.09.2011.-Il vincitore del Premio Campiello 2011 Andrea Molesini.- Pivato Interpress Venezia, 19.09.2011.-Il vincitore del Premio Campiello 2011 Andrea Molesini.-

Professore di letteratura a Padova, veneziano di nascita e di famiglia, vincitore del Campiello nel 2011 con “Non tutti i bastardi sono di Vienna”, Andrea Molesini torna in libreria con una storia molto veneziana, ambientata tra il Lido e la Riva degli Schiavoni alla vigilia della prima guerra mondiale. “Presagio” (Sellerio, p.155, 12 euro) è un romanzo breve, da leggere tutto in una volta, una storia d’amore e morte con al centro il Grand Hotel Excelsior, la fine della belle époque, una contessa austroungarica, un sogno premonitore, un personaggio reale, il commendatore Niccolò Spada, fra i fondatori della Compagnia Italiana Grandi Alberghi.

La scelta di tornare a raccontare il clima della grande guerra, come nel romanzo che ha vinto il Campiello, indica la centralità di quel momento storico?

«Senza dubbio. La Grande Guerra è lo spartiacque tra una Europa che credeva di essere la testa del mondo, come disse Paul Valéry, e la nuova Europa, dissanguata e in bancarotta, che nel 1919 varò l’armistizio (non la pace!) di Versailles, che durò venti anni. Certo quella strage smisurata non è paragonabile - né per dimensioni né tantomeno per tragicità - ai problemi, pur gravi, di oggi, però credo che riflettere sui momenti che precedettero quella guerra possa aiutare a capire il nostro presente».

L’Excelsior diventa nel libro la metafora della fine di un mondo. Quanto c’è di personale e quanto di letterario in questa immagine?

«È impossibile, nel mio caso, tracciare una chiara linea di demarcazione tra vita e letteratura. Un Grand Hotel è un crocevia di destini: l’ambiente ideale, dunque, per un dramma. Nel romanzo, però, l’Excelsior fa da contraltare all’isola di San Servolo, sede del manicomio, legato al segreto inconfessabile della seducente Margarete von Hayek. Amore, pazzia, suicidio, gioco: questa è l’arena di Presagio».

Perché ha scelto un personaggio reale, che ha anche il nome della villa del primo libro, come protagonista?

«Perché mi piace la realtà, la sua durezza inespugnabile. Niccolò Spada è il mio nonno materno, morto nel 1929. Ho cercato di ritrarlo incrociando fonti storiche credibili con piccole leggende di famiglia sulla cui veridicità è difficile indagare. Anche in “Non tutti i bastardi sono di Vienna” c’è un personaggio reale, Maria Spada, la sorella di Niccolò. Due fratelli che hanno vissuto da protagonisti combattivi la crisi che cento anni fa cambiò il mondo. Avevano ricevuto una educazione cosmopolita, e hanno saputo incarnare - nei loro limiti e con tutte le loro incertezze - un ideale di operosità e rettitudine che oggi sembra dimenticato, ma di cui avremmo un gran bisogno».

Spesso Venezia nel Novecento letterario reca con sé l’immagine della morte. Lei la recupera con molto pudore. Non ha avuto paura dei confronti?

«No, e perché avrei dovuto? Ogni narratore fa il suo libero gioco. E poi la Venezia di Presagio è una Venezia vera, vista da occhi veneziani, disincantati ma appassionati. Sono nato e cresciuto in quel luogo d’acqua e di pietra che sembra disobbedire alle leggi della fisica e sposare quelle del sortilegio. I suoi odori, i suoi colori, le sue luci sono in me da sempre, e per sempre».

Il presagio del titolo è insieme privato e pubblico, ma mi sembra racconti la stessa tensione verso una certa forma di autodistruzione.

«Sì, infatti il protagonista, ricordando Solone, dice che “il male pubblico giunge alla casa di ognuno”: un pensiero che oggi suona vero più che mai».

“Presagio” viene presentato in anteprima nazionale oggi alle 18 a Ca’ Vendramin Calergi, Venezia.

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