Il Mobilificio Marchetti fallisce 25 dipendenti perdono il lavoro

CITTADELLA
Fallimento del Mobilificio Marchetti spa: 25 lavoratori a rischiano la disoccupazione. La storia del mobilificio d’arte Marchetti di Cittadella si è conclusa lunedì, con il decreto del tribunale che accoglie l’istanza di fallimento presentata dalla ditta il 4 settembre scorso. Ora, nominato il curatore, i dipendenti rimasti sono in attesa della lettera di licenziamento.
Si conclude così una storia durata cinquant’anni, iniziata nel 1968 quando il maestro d’arte Gianni Marchetti fondò il mobilificio, puntando sulla creazione di mobili di qualità, realizzati in legno massello e con la cura artigianale dei dettagli. La ditta subisce solo qualche contraccolpo dalla crisi generale degli anni tra l’80 e l’82, alla quale reagisce con una nuova intuizione di Gianni Marchetti, che rilancia la produzione con i mobili componibili.
La ripresa non tarda ad arrivare, alla grande. «Quando sono entrato io, nel ’90», racconta Francesco Zonta, delle rsu, «la ditta andava a gonfie vele. E fino al 2005 è sempre andata bene». Le prime difficoltà cominciano a farsi sentire con la grande crisi del 2009, e il ricorso alla cassa integrazione ordinaria e straordinaria per una parte dei lavoratori. Ma la risalita è più dura del previsto. Decisa a non licenziare nessuno, l’azienda condivide con i sindacati la scelta di applicare il contratto di solidarietà, con tre giorni di lavoro settimanale per tutti i dipendenti, nella speranza di poter rilanciare la produzione. Il quadro invece precipita, nonostante le frequenti integrazioni di capitale sociale da parte della famiglia.
Nel 2016 il mobilificio Marchetti chiede il concordato preventivo in continuità aziendale, che il tribunale accoglie per quattro anni, e nel 2017 il personale viene ridotto di 35 unità, praticamente dimezzato. La produzione è proseguita, ma non evidentemente con il ritmo previsto dal concordato. Da qui, l’istanza di fallimento presentata il 4 settembre.
«La crisi ci consegna l'ennesimo fallimento, un'altra azienda dell'Alta padovana che chiude i cancelli. È un’amara sconfitta per tutti», dicono Mauro Milan della Filca-Cisl di Padova Rovigo e Francesco Campa della Fillea-Cgil. «A pagare il prezzo più alto sono ovviamente i lavoratori che, dopo enormi sacrifici legati alla riduzione dello stipendio in solidarietà e alla messa in mobilità di circa metà della forza lavoro complessiva, ad oggi rischiano la disoccupazione e di non vedersi riconosciuti gli stipendi arretrati».
«Tenteremo ora», concludono Milan e Campa, «di intervenire nelle diverse sedi istituzionali per verificare la possibilità che gli ammortizzatori sociali annunciati dal Governo siano riconosciuti a tutti i lavoratori dell'azienda, in modo da consentire un passaggio protetto a nuove opportunità di lavoro». —
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