Il nipote del Canaletto capace di stupire l’Europa

di ELSA DEZUANNI
Nel Settecento Venezia continuava ad essere la meta del Grand Tour preferita dall'aristocrazia europea e da collezionisti e mecenati stranieri. Ognuno voleva portare nel proprio paese il ricordo di una città unica e questo alimentò l'affermarsi della pittura di vedute, un genere che si diffuse e circolò anche presso le corti europee.
Il Canaletto (Venezia 1697-1768) conquistò il mercato inglese con le sue raffinate riprese atmosferiche, concepite su inquadrature in cui alla maestosità delle architetture si accompagnavano il lirico brillio dei canali e il fremere delle tante figure che animavano la vita cittadina. Vedute imitate alla perfezione dal giovanissimo Bernardo Bellotto (Venezia 1722-Varsavia 1880), suo allievo e nipote per via materna, che (si presume col consenso dello zio) si firmava «Bernardo Bellotto de Canaletto», e questo ha creato non poca confusione nel mercato per le incertezze di attribuzione, fino a quando studi recenti hanno permesso un motivato distinguo.
Talento precoce, Bellotto a sedici anni era già iscritto alla fraglia dei pittori, vale a dire che dipingeva in autonomia. La sua fortuna critica è però di questi ultimi trent'anni, con le ampie rassegne di Venezia (1986, 2001), Bilbao (1998), Verona (1990, 2002) e Parigi (2004).
Un ulteriore approfondimento sulla sua opera viene dato dalla mostra, inaugurata ieri, Bernardo Bellotto il Canaletto delle corti europee, allestita in Palazzo Sarcinelli a Conegliano (aperta al pubblico da venerdì 11).
Diciotto dei suoi dipinti, diversi di grandi dimensioni, e oltre venti straordinarie acqueforti, in prestito da collezioni pubbliche e private italiane e d'oltralpe, documentano la città natia e residenze reali, piazze, palazzi e giardini di Dresda, Vienna e Varsavia e loro dintorni. L'esposizione è curata da Dario Succi, il quale propone anche opere dei maggiori artefici del vedutismo: Bernardo Canal, Luca Carlevarijs, il Canaletto, Michele Marieschi, Pietro Bellotti e Francesco Guardi.
Bellotto si distaccò dai caratteri scenografici canalettiani già dal 1742, quando iniziarono i suoi viaggi in varie città italiane – Roma, Lucca, Firenze, Torino, Milano, Verona, Padova – delle quali ha lasciato cristalline vedute rese con la fedeltà di un cronista, nello spirito di verità dell'illuminismo. Com'era d'uso, si serviva della camera ottica, ma alterandone le prospettive con sapienti inganni visivi, per dare un senso di spazialità di maggior respiro.
La fama crescente lo portò nel 1748 a Dresda, accolto da Augusto III, re di Polonia ed elettore di Sassonia, grande collezionista di opere veneziane, che lo nominò pittore di corte, compensandolo con un lauto stipendio.
Vi rimase undici anni, perfezionando la tavolozza sulle intonazioni dei verdi e sui risalti dorati, arricchendo le scene urbane e paesistiche con brani di v ita quotidiana, svolti con una vivace verve narrativa. Sullo scenario di maestose architetture cittadine brulica un'umanità composita, fatta di modesti mercanti con le loro bancarelle, fruttivendoli, contadini su carri tirati da buoi, eleganti borghesi a passeggio, ussari a cavallo, cocchieri in lussuose livree che scarrozzano ricche gentildonne.
Altrove, lungo le rive dell'Elba i pescatori tirano i remi in barca, le lavandaie stendono i panni, mentre poco più in là si abbeverano i bovini.
Dalla capitale sassone Bellotto si trasferì alla corte dell'imperatrice Maria Teresa, a Vienna, e quindi a Monaco al servizio di Massimiliano III Giuseppe di Baviera. Da qui tornò a Dresda, dove intanto in un bombardamento prussiano era stata distrutta la sua casa; al drammatico scenario dei disastri bellici contrappose logge, archi e scalinate di sofisticati capricci.
Nominato «membro aggregato» della neonata Accademia, orientata al neoclassicismo, non si trovò a proprio agio e se ne allontanò stabilendosi a Varsavia alla corte di Augusto Poniatowski.
Protetto e superpagato, per tredici anni testimoniò con le tante sue vedute il rapido cambiamento di questa capitale sotto l'impulso riformatorio del nuovo re, che amava circondarsi di artisti italiani.
Bellotto ebbe grande successo, ma in ambito familiare patì la perdita di quattro delle sue sei figlie, e quando dei due maschi nel 1770 morì il primogenito, suo collaboratore, l'artista cadde in una profonda depressione.
Continuò tuttavia a documentare Varsavia e dintorni, lasciando con le sue vedute testimonianza a futura memoria.
Ed è proprio per la sua fedeltà da cronista che è stato possibile ricostruire intere parti di Varsavia e di Dresda, distrutte dai bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova