Il presidente di Confindustria Padova: «Svolta entro due anni o sarà declino»

PADOVA. Massimo Finco, Padova è una città che fatica a disegnarsi un futuro?
«Mi faccia partire dal 2 gennaio scorso – risponde il presidente di Confindustria Padova –. L’incendio che ha distrutto la mia azienda mi ha segnato profondamente, come persona e come imprenditore. Ma dopo 10 giorni di ferie date ai dipendenti, e nonostante le grandi difficoltà, siamo stati in grado di essere subito operativi in quella che abbiamo ribattezzato Facco 2».
Qual è, in questo, il messaggio per il territorio?
«Abbiamo di fronte un mondo in grande cambiamento. Le aziende sono giornalmente pesate dal mercato in un processo evolutivo senza sosta. La lentezza si paga a caro prezzo. Solo chi si trasforma, innova, e lo fa velocemente, tiene il passo. Lo stesso vale per i territori, i grandi sistemi urbani. Solo chi cresce, innova, fa rete con il mondo, si apre al confronto, attrae persone e investimenti ha un futuro. Altrimenti il declino è inesorabile. Questo lo dobbiamo far capire a tutti».
A fronte delle difficoltà, quindi, cosa serve?
«C’è bisogno di una visione strategica che ponga le condizioni affinché il territorio esprima competitività. Padova deve darsi una visione di futuro a medio termine ma integrata in un’area vasta almeno quanto il Veneto. Pensarsi come un’“isola” è perdente».
Nel corso delle interviste che hanno animato il dibattito sulla città del futuro sono emerse diverse priorità quanto alle opere necessarie. Il suo punto di vista?
«Possiamo parlare anche di questo, ma prima bisogna cercare di capire perché una lista di opere nota da 20 anni – ovvero fiera, ospedale, centro congressi, alta velocità – è ancora e solo una lista».
Lo dica lei perché.
«Evidentemente non ci sono i presupposti necessari. Il problema non sono le risorse ma il metodo: manca un confronto vero. Basta con le estemporaneità, i personalismi o peggio la litigiosità. Anche la politica deve fare un passo indietro rispetto alla “buona amministrazione”. Io il confronto non lo vedo, su nulla. E la classe imprenditoriale deve esporsi di più».
È un’autocritica?
«Certo, l’ho ripetuto più volte nel corso dei nostri incontri associativi. Un imprenditore che vede il mondo ha il dovere, non il diritto, di raccontare quello che vede. Perché un territorio chiuso, che non vede quello che c’è fuori, è un territorio perdente».
Diceva che le risorse non sono un problema, convinto?
«Lo ripeto, in primis è un problema di povertà di idee e di confronto».
Chi deve assumersi la responsabilità di attivare il confronto e in che tempi?
«La scossa è necessaria ora ma vedo che non arriva».
La regia a chi?
«Dobbiamo dare credito a chi governa il territorio, ovvero al sindaco e all’amministrazione comunale. Ma va detto che serve un confronto vero e imprescindibile con gli altri attori, nell’ascolto come metodo e recependo le proposte. Un confronto che non c’è».
Chi vede come altri interlocutori?
«L’Università con il nuovo corso ha grandissime potenzialità. Abbiamo poi la Fondazione Cariparo che non ha solo capacità finanziarie ma anche capacità di pensiero. Anche la Camera di commercio sta esprimendo capacità di pensiero oltre che finanziarie. Apprezzo la strada intrapresa dal presidente Zilio sulle dismissioni. La Camera si sta dimostrando la casa del confronto tra categorie economiche».
Cosa ne pensa dell’alleanza tra atenei per il piano Industria 4.0 e in particolare del progetto di hub dell’innovazione a Marghera?
«Nulla in contrario ma allo stesso tempo l’auspicio è che il rettore Rizzuto confermi gli impegni presi sulla Fiera».
Crescita e competitività, quanto tempo c’è ancora per mettersi al passo?
«Dicevo prima che la lista delle cose da fare è di 20 anni fa, ma altri 20 anni davanti non ci sono. Se entro due anni non saremo in grado di mettere in moto le opere necessarie – importanti per quanto possono generare – dovremo rassegnarci a un territorio che andrà impoverendosi».
Metta in fila le priorità.
«Credo che un “piano strategico” per Padova (e relativi investimenti) vada incardinato su alcuni punti di forza. Logistica e intermodalità per le merci, attorno all’Interporto come hub multimodale del Veneto (retroporto di Venezia-Alto Adriatico e Mediterraneo) e mobilità delle persone, completando il disegno alta velocità, metrò di superficie (Sfmr), linee di trasporto pubblico; vocazione medico-scientifica e ricerca, attorno al cardine Ateneo-nuovo ospedale; manifattura 4.0, accompagnando le imprese nella quarta rivoluzione industriale».
Diceva trasporto pubblico, secondo lei il tram andava implementato?
«È il sindaco che decide ma sarebbe stato utile un maggiore confronto. Penso che il collegamento tra stazione e Zip sia necessario».
E sul nuovo ospedale ...
«Bisogna fare presto. C’è un cronoprogramma, rispettiamolo».
Stazione per l’alta velocità, dopo lo studio di fattibilità su San Lazzaro è calato il silenzio.
«San Lazzaro era la scelta più ambiziosa. Personalmente dico che in tutte le parti del mondo si cerca di valorizzare gli snodi esistenti: oggi la priorità è procedere spediti con la modernizzazione dell’attuale stazione centrale».
Progetto Soft city: chiacchiere o sviluppo necessario?
«La manifattura ha bisogno di servizi e nuovi contenuti di innovazione e tra questi deve esserci il digitale. Quindi della Soft city c’è bisogno».
Un’ultima cosa, che idea si è fatto sulla crisi di maggioranza in Comune?
«Come imprenditore vivo e mi confronto nel mondo, sono lontano da queste cose e mi provocano solamente profondo svilimento».
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