Il Rinascimento possibile del Nordest

L’analisi nel saggio di Daniele Marini, serve una nuova classe dirigente
Di Piercarlo Fiumanò

Metamorfosi a Nordest. La locomotiva d’Italia ha esaurito la sua forza ma potrebbe accelerare all’improvviso. Il sistema nordestino sta elaborando nuove strategie, cambia modelli di sviluppo. Nulla sarà come prima.

Professore di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università di Padova e Direttore scientifico di Community Media Research, studioso di un’area da sempre laboratorio economico del Paese, Daniele Marini è autore di un saggio, “Le metamorfosi. Nordest: un territorio come laboratorio”, saggi Marsilio, che esplora le dinamiche post-crisi del sistema produttivo e sociale nordestino e traccia le mappe dei nuovi percorsi economici e sociali. La crisi, per evocare Joseph Schumpeter, ha provocato una sorta di “distruzione creatrice”. Il libro è una bussola per orientarsi nella nuova economia leggera post-fordista che imporrà un nuovo “modello Nordest”.

Area fra le più industrializzate d’Europa, il Nordest è sempre stato sinonimo di sviluppo poderoso, di abilità artigiana, di maestria nell’imporre marchi di qualità sul mercato. Lo sviluppo delle piccole imprese, dei distretti industriali, della vocazione a proiettarsi sui mercati esteri fino all’avvento del post-fordismo «trova proprio nel Nord Est un territorio accogliente e propulsivo». Oggi, con l’implodere della crisi, anche il Nordest si è appiattito sul Pil dell’Italia, da tempo su percentuali zero-virgola. Pesano soprattutto, come emerge dall’analisi di Marini, i ritardi infrastrutturali. Il saggio racconta la grande crisi iniziata nel 2007-2008: i primi segnali del rallentamento si avvertono subito. Il sistema nordestino perde per strada la sua identità e subisce in modo pesante i fendenti della più grave recessione degli ultimi anni. La crisi mondiale impone una serie di profonde ristrutturazioni. Cambia anche il modello dei distretti industriali: «Siamo di fronte non a un declino della forma distrettuale, ma a una sua metamorfosi: da distretto, a dis-largo; da una fisionomia organica, a una flessibile e adattiva; aperta alle relazioni (produttive e commerciali globali), ma mantenendo -innovando - le progettualità ideative sul territorio originario».

Mentre Milano si allinea in asse industriale e culturale con Torino, il Nord Est vive una sorta di selezione darwiniana: «Le aziende che sono riuscite a investire nell’innovazione aprendosi ai mercati esteri ce l’hanno fatta. Altre invece hanno pagato duramente le conseguenze della competizione mondiale».

La metamorfosi, emerge dall’analisi di Marini, è un processo di cambiamento virtuoso «dalla quale dovranno prendere necessariamente forma nuove politiche industriali come la progressiva diffusione delle nuove tecnologie di rete, utili a governare in tempo reale le unità produttive dislocate all’estero». La terziarizzazione di oggi (il crescente ruolo dell’economia dei servizi alla persona e alle imprese) si deve integrare con l’industria manifatturiera. E anche qui Marini traccia la mappa di un nuovo Rinascimento a Nordest che già nel passato ha aperto la strada in Italia a nuove forme di contrattazione di welfare aziendale. Il Nordest, in sostanza, ha una spinta propulsiva che lo spinge a cercare soluzioni innovative prima che altrove. Ma sarà difficile completare la metamorfosi, spiega l’economista, se non riuscirà ad emergere una classe dirigente adeguata. E qui non ci siamo ancora. Il ceto imprenditoriale nordestino manca di figure in grado di disegnare una visione condivisa dello sviluppo del territorio: «Il Nord Est non ha ancora trovato la strada per rappresentare i propri interessi su scala nazionale, là dove si fanno le scelte strategiche per lo sviluppo». E ancora: «Nelle tante emergenze di oggi è necessario riscoprire l’importanza dello spirito cooperativistico e della coesione sociale».

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